Affido sine die. Un fenomeno da superare. In Italia il 60% dei minori in affidamento da oltre due anni

Lo psicologo: “Un ragazzo deve rimanere sempre ‘disponibile’ al rientro in famiglia secondo i tempi dei genitori. È precarietà cronicizzata”

L’affido sine die? Un fenomeno assolutamente da superare. A rilanciare questa necessità è stato un articolo di Francesco Borgonovo su La Verità che, sulla scia dei fatti di Bibbiano, afferma che quella dell’affido a tempo indeterminato è tutt’altro che una rarità nel nostro Paese. Anzi, si può dire che siano quasi la regola”.

Secondo una relazione della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza pubblicata il 17 gennaio 2018, oggi 28.449 bambini o ragazzi di età compresa tra 0 e 17 anni sono collocati fuori dalla famiglia d’origine accolti nelle famiglie affidatarie. Però la legge 149 del 2001 individua il periodo massimo di affidamento in 24 mesi, prorogabili da parte del Tribunale per i minorenni, qualora fosse ritenuto necessario. Ma in realtà, i bambini in affido da oltre due anni sono ben il 60%.

Ai.Bi. – Amici dei Bambini, realtà che da oltre trent’anni si batte in Italia e nel mondo contro l’abbandono minorile, aveva già lanciato da tempo l’allarme: “L’affido sine die, inteso come abbandono istituzionale, va superato, perché non permette al minore di essere inserito definitivamente in una famiglia, sia essa di origine o adottiva”, spiegano dall’associazione.

Ci sono dei casi in cui gli affidi di durata prevedibilmente lunga sono la scelta migliore, si legge in una relazione del Tavolo Nazionale Affido pubblicata su Vita: “Sono gli affidamenti realizzati in quelle situazioni nelle quali, a volte fin da subito, si arriva a ipotizzare che vi sia la realistica impossibilità di prevedere un rientro del minore a casa, pur permanendo e valorizzando la relazione con la famiglia di origine”. 

Sempre nel 2014, una realizzata dalla Fondazione Emanuela Zancan di Padova e presentata all’EUSARF a Copenhagen, affermava che, in caso di affido: “favorire il mantenimento del legame affettivo‐relazionale permette al minore di sentirsi parte integrante della propria famiglia d’origine nonostante l’affidamento familiare. Il minore, infatti, pensa di essere un rifiutato dalla propria famiglia e gli incontri guidati con i genitori vanno nella direzione di cambiare questa sensazione. La conoscenza delle proprie origini è, infatti, determinante per uno sviluppo di crescita”.

Marco Chistolini, psicologo e psicoterapeuta che ha pubblicato per Franco Angeli “Affido sine die e tutela dei minori”, spiega  invece che l’affido sine die “permette sì al ragazzo di investire su nuove relazioni stabili ma deve rimanere sempre per così dire ‘disponibile’ al rientro in famiglia secondo i tempi dei genitori. È una precarietà cronicizzata”.