Amici dei Bambini a fianco delle famiglie affidatarie per difendere i loro diritti

tribunale 200 200L’Inps nega l’indennità di maternità alla mamma di una casa famiglia. Amici dei Bambini supporta la donna nella battaglia legale contro l’ ente di previdenza. L’episodio accaduto a Cristina Sacchi è paradigma clamoroso di una cultura vessatoria nei confronti della giusta accoglienza familiare.

Ecco i fatti. Nel corso di alcuni anni, in occasione dell’arrivo di nuovi minori in difficoltà presso la casa famiglia gestita insieme al marito Tommaso, Cristina aveva fatto domanda all’INPS dell’indennità di maternità prevista per l’affidamento, 8 congedi in tutto per 8 minori accolti. Indennità regolarmente incassate fino al maggio scorso, quando in una comunicazione dello stesso INPS si chiede a Cristina il totale rimborso delle somme ricevute, ben 21mila euro.

Subito è partito un primo ricorso amministrativo, respinto. Ha fatto seguito un secondo ricorso a Milano, presso il giudice del lavoro Giorgio Mariani. Che ha nuovamente respinto il ricorso. Per il tribunale di Milano Cristina Sacchi non è una genitrice affidataria, bensì una semplice figura di educatrice.

Una “confusione” di ruoli che si è esplicitata in una decisione di merito che rischia di pregiudicare del tutto la possibilità di una giusta accoglienza di questa famiglia verso minori in difficoltà. L’affido è l’istituto predisposto per quei minori in difficoltà che non possono rimanere per un periodo limitato di tempo nella famiglia di origine perché, come stabilisce l’articolo 2 della legge 184/83, soffrono la mancanza di un “ambiente familiare idoneo”. E, recita lo stesso articolo, il contesto diverso dalla famiglia di origine deve vedere “assicurato il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni di cui egli ha bisogno”. Inoltre la legge 149/2001, articolo 2, 4° comma, parla di comunità di tipo familiare: “Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”.

In ottemperanza a queste leggi sono nate le case famiglia, nelle quali il nucleo è costituito da una coppia di coniugi, una mamma e un papà, una famiglia per l’appunto. Come Cristina, mamma a tempo pieno non retribuita e papà Tommaso. Non degli educatori retribuiti per il loro lavoro, come invece accade nel caso delle comunità educative, che in base alla norma richiamata sono da considerare fuori legge.

Due cose ben diverse e distinte. Per questo il mancato riconoscimento dell’indennità di maternità per affidamento va nella direzione opposta della legge per un’accoglienza di tipo familiare: avremo solo e sempre degli educatori, non più dei genitori. Esiste qualcosa che sia come una famiglia se non una famiglia? Le relazioni familiari possono essere scimmiottate? Degli standard operativi possono sostituire una mamma e un papà? Questi sono i quesiti sui quali sarebbe necessaria una riflessione da parte del giudice del lavoro Giorgio Mariani, che ha rigettato il ricorso di Cristina Sacchi, assimilando, nelle motivazioni della sentenza, la casa famiglia ad una comunità di tipo familiare e non a una famiglia affidataria di fatto.

Questa incresciosa vicenda denuncia un vuoto normativo al quale è necessario rimediare con urgenza: la Casa Famiglia deve essere riconosciuta giuridicamente, distinguendola dalla comunità educativa e prevedendo una normativa adeguata alla sua unicità. Non è più accettabile che lo spirito di accoglienza e generosità di una famiglia venga frustrato da una legislazione miope, incapace di scorgere la differenza tra un genitore e un educatore.