Assistenti sociali in tempi di Coronavirus. “Caro ordine ti scrivo da Bergamo…”

La dura vita di chi non ha gli strumenti per lavorare, raccontata dall’epicentro dell’epidemia

Nel forum di Ai.Bi. – Amici dei Bambini sovente arrivano lettere interessanti e meritevoli di essere pubblicate. Una di queste arriva da Bergamo, la città che, come tutti sanno, è diventata suo malgrado l’epicentro dell’epidemia di Coronavirus che ha trascinato l’Italia in quella che è già stata definita la sua “ora più buia” dal dopoguerra. La scrive un assistente sociale. Il destinatario è il suo ordine professionale di riferimento. La pubblichiamo integralmente.

Caro Ordine, tu che sei la mia famiglia professionale di appartenenza, sono C. Z. un’assistente sociale che lavora e vive in provincia di Bergamo rivestendo questo ruolo professionale da circa dieci anni.

Come impiego lavorativo sono inserita in due comuni della provincia gestendone l’intero segretariato sociale. Scrivo qui come una ragazza scrive alla propria famiglia come se fossi dall’altra parte del mondo (come si faceva una volta che non c’erano né cellulari, né video chiamate, né tantomeno Skype o WhatsApp). Io scrivo una lettera, anzi una email, in una sera di metà marzo di questo – come dice il detto popolare – “anno bisesto anno funesto”, 2020.
Io e tantissimi miei colleghi, alcuni di questi carissimi amici, stiamo vivendo giornate con tantissime lacrime negli occhi, l’impotenza nelle mani, nel cuore, nel telefono, nelle email ….

Viviamo soli sai, Ordine! Dentro di me avverto la sensazione della solitudine che mai come ora si è impossessata di me. Ormai anche i nostri instancabili volontari – quelli che non sono malati o che non sono venuti persino a mancare – fanno quello che possono. Le esigenze sono tantissime e si ritrovano in alcuni casi a dover portare pazienti dializzati facendo lo slalom tra i deceduti al pronto soccorso degli ospedali dell’intera provincia di Bergamo.
La Rete Sociale, caro Ordine professionale che tu ci hai insegnato che dobbiamo costruire ed alimentare come fa l’acqua per un piantina in continua crescita, è messa a durissima prova. Ogni famiglia ha dolore al suo interno, ha urgenze a cui dover rispondere. Ogni chiamata che riceviamo è pervasa da paura, da solitudine e mi rendo conto che l’unica cosa da fare ora è resistere

Noi qui a rispondere e/o a non saper dare risposte (una cosa che personalmente mi ha sempre fatto star male ed ora più che mai) soprattutto ad una consistente fetta di popolazione che chiede aiuto, elemosina conforto. Credo che il mio ruolo sia quello di dare serenità dove possibile, una spalla anche virtuale su ci appoggiarsi. Ma anche quello di far arrivare al domicilio un pasto pronto, la spesa, i farmaci per poter appunto sopravvivere. Nulla di più.

Vivo in questi giorni il mio mestiere, che amo alla follia, svuotato di tutti gli strumenti (non esistono più visite domiciliari, colloqui, riunioni, non si riescono ad attivare servizi a supporto della domiciliarietà).

Siamo donne e uomini che cercano con una risposta, tramite telefono, di dare conforto, proviamo ad ascoltare i pianti dei famigliari che non hanno potuto nemmeno salutare un proprio congiunto.

Caro Ordine professionale mi rivolgo a te come una mia madre lavorativa, perché so che solo tu puoi sostenermi, aiutarmi e finita questa guerra, ascoltami se possibile anche abbracciami: fammi sentire che appartengo a qualcuno.

Così che anche la notte che stiamo attraversando, non sarà solo stata portatrice di brutali e bestiali assenze, ma anche di ritrovamenti di una comunità professionale che c’è, nonostante tutto. A guerra finita Bergamo ti aspetta ed insieme ripartiremo dalla macerie ricostruendo la nostra amatissima rete e le nostre comunità.

Andremo avanti con lo sguardo e le braccia verso chi l’affetto, le risorse, la serenità non le ha. Con stima

C.Z. Bergamo