È vero che i bambini che arrivano con l’adozione internazionale sono “più piccoli”, dal punto di vista affettivo, dei coetanei che hanno vissuto in famiglia?

Buongiorno,
sono Giulia, mamma adottiva in attesa di abbinamento.
Confrontandomi con alcune coppie che hanno già affrontato l’adozione, ho più colte colto un’indicazione che un po’ mi spaventa: che i figli che arrivano con l’adozione internazionale sono più indietro, dal punto di vista affettivo, rispetto ai coetanei cresciuti in famiglia. Secondo la vostra esperienza, è vero questo fatto? Come un genitore può affrontarlo al meglio?
Grazie. Un saluto
Giulia

Molti aspiranti genitori adottivi, confrontandosi con gli operatori riguardo alle caratteristiche dei bambini, percepiscono quelli in età scolare come “bambini grandi”. Come se avessero già acquisito le autonomie pratiche ed emotive per essere indipendenti. Come se i genitori li potessero accudire, seguire, guidare, con minor efficacia e minor piacere.
Beh, se è vero che l’essere umano inizia a formare e basare la sua struttura di personalità fin dalla nascita, è vero anche che le possibili evoluzioni e trasformazioni sono possibili a tutte le età.
I bambini che provengono da situazioni di abbandono, poi, scontano carenze significative dal punto di vista della crescita emotiva e psicologica, e a volte anche fisicamente sono più piccoli dei coetanei.

L’essere umano procede nel suo sviluppo attraverso la relazione: impara a camminare perché qualcuno gli tiene la mano e lo aiuta a risollevarsi quando cade; impara a parlare ascoltando gli altri che gli parlano e che in seguito dialogano con lui; impara a fidarsi quando gli viene offerta la possibilità di appoggiarsi, di essere amato e accudito.
La mancanza di punti di riferimento stabili e l’inadeguatezza della cure offerte non permette ai bambini una crescita regolare, da nessun punto di vista. Spesso i bambini scontano ritardi psicomotori dello sviluppo ed esprimono bisogni affettivi non allineati rispetto all’età anagrafica.

Finché non abbiamo chi ci ama, non possiamo sperimentare di essere amati. E solo una base affettiva sicura permette ai bambini di “dedicarsi” alla propria crescita.
Le autonomie che questi bambini ci mostrano da un punto di vista “pratico”, non corrispondono alla loro crescita psicologica. Sono bambini che hanno bisogno di costruire un legame di attaccamento con i genitori adottivi, attraverso l’accudimento, la cura e il contenimento che in genere riserviamo ai bambini più piccoli della loro età. Hanno bisogno di sperimentare continuità e costanza delle cure genitoriali, che consenta loro di “regredire” funzionalmente ed esprimere i loro bisogni profondi di essere curati. Alcuni lo esprimono attraverso la richiesta di contatto fisico costante, altri chiedono di ripercorrere alcune tappe di sviluppo già acquisite (chiedono di indossare il pannolino, di avere il ciuccio, o di attaccarsi al seno della madre). Sono comportamenti che non devono intimorire o preoccupare, anzi, sono un’opportunità unica di vivere insieme, anche metaforicamente, alcune esperienze che fondano il legame genitore-figlio.

Una volta accolti nelle loro richieste, i bambini ritornano ai loro normali livelli di funzionamento e possono procedere con delle fondamenta più sicure e stabili.
Ti amo per tutto ciò che sei, tutto ciò che sei stato e tutto ciò che devi ancora essere. (Hernest Hemingway)

Un caro saluto
Francesca Berti, psicologa e psicoterapeuta di Ai.Bi.