Bolivia. Cosa significa fare volontariato in un orfanotrofio?

Le attività di volontariato sono molto importanti per portare avanti al meglio i progetti all’estero di Ai.Bi. Ma sono anche una via privilegiata per gli stessi volontari di ricevere una formazione “sul campo” insostituibile

Quando si parla di progetti legati al Terzo Settore, al sostegno dei bambini, all’aiuto delle famiglia… in Italia, è quasi scontato pensare che, oltre all’Ente o l’Associazione di riferimento con i suoi operatori, ci siano dei volontari che contribuiscono allo svolgimento delle più diverse azioni e senza i quali tanti obiettivi farebbero fatica a venire raggiunti.
Quando il discorso si sposta sull’estero, invece, viene automatico parlare di cooperanti, di fondi erogati da qualche autorità, di professionisti… Ma, in realtà, anche nei Paesi al di fuori dei confini, senza l’aiuto dei volontari ovunque si farebbe più fatica.
Allo stesso tempo, il volontariato diventa per gli stessi volontari un modo per conoscere da vicino realtà altrimenti lontane e, per chi si avvia verso una professione in questo ambito, ricevere una formazione “sul campo” davvero importante.

La voce di chi fa volontariato in orfanotrofio

Dunque, è più che giusto far sentire almeno ogni tanto la voce di questi volontari, anche per scoprire cosa significhi dedicarsi gratuitamente agli altri in un contesto così diverso e lontano dal nostro quotidiano come può essere quello di un orfanotrofio boliviano. Lo facciamo con Maribel, studentessa di Scienze della Formazione, in attesa di discutere la tesi, che ha iniziato nel 2018 a fare la volontaria presso l’orfanotrofio José Soria, con il quale Ai.Bi. collabora da tempo.

Come sei venuta a conoscenza di questa possibilità?

Tramite una mia amica, che a sua volta conosceva Ivon, di Amici dei Bambini. È stata lei a organizzare un incontro con l’Amministratore del Centro di accoglienza, la signora Victoria, che ci ha prestato i file di ogni bambino dai quali abbiamo constatato che non erano presenti le loro cartelle pedagogiche assemblate. Per questo, abbiamo eseguito una diagnosi individualizzata di ogni bambino così da identificare le difficoltà che ciascuno presentava

Con quanti bambini hai lavorato. Com’era organizzato il lavoro?

Inizialmente ho lavorato con 3 bambini che avevano difficoltà di apprendimento. Successivamente, abbiamo cercato di ruotare un po’ i minori, visto che i primi erano già notevolmente migliorati.

Cosa ti ha insegnato questa esperienza?

Ho capito, lavorando in orfanotrofio, che i bambini che vivono qui sono molto diversi da quelli che, per esempio, siamo abituati a frequentare, magari in famiglia. I minori dei centri di accoglienza hanno vissuto situazioni complicate, per questo è ancora più fondamentale entrare in empatia con loro e amarli in ogni istante del lavoro che si fa insieme.
La soddisfazione più grande che ho provato è stata nel momento in cui i bambini che seguivo sono migliorati a scuola, Ma non è stato tanto per la soddisfazione personale riguardo il lavoro svolto, quanto per il fatto di vederli felici e sentire gli educatori confermarmi il loro miglioramento e la loro gioia.

Ora, qual è la tua nuova sfida?

Vorrei lavorare con i bambini dell’orfanotrofio Niño Jesús Shelter Center, perché i minori che sono ospitati qui hanno dagli 0 ai 6 anni e in questo modo potrò mettere in pratica anche i miei studi relativi alla scuola materna. Sono aperta a questa nuova sfida.

Nel frattempo, aiuti il lavoro di supporto pedagogico che viene portato avanti con il metodo Montessori…

Sì. È molto stimolante, perché è un modo per ricevere una formazione costante. Al momento collaboro all’elaborazione dei materiali Montessori, procurando materiali e oggetti, carteggiando e dipingendo le sedie… Tutto quello che viene fatto è finalizzato al benessere dei bambini beneficiari, e il fatto che Ai.Bi. ci fornisca supporto costante e tutti i materiali richiesti è senza dubbio un grosso aiuto.