Caro Direttore, sono genitore di un figlio adottivo “difficile” e…

Salve,

vorrei affrontare una questione sottaciuta. In Lombardia, in base a dati credibili, so che i figli adottivi hanno una probabilità quasi dieci volte maggiore dei figli naturali di entrare in una comunità psichiatrica/terapeutica (e la probabilità si alza se consideriamo anche le comunità educative).

Quando un figlio adottivo raggiunge i 12/13 anni non di rado esplode in comportamenti anche estremi, che buttano fuori tutta la rabbia della ferita dell’abbandono e dei maltrattamenti subiti. Succede quando è finita da tempo la “luna di miele” con il proprio figlio, e la vita sembra riorganizzata e rientrata nella normalità più assoluta.

Non di rado le famiglie adottive sono totalmente spiazzate da questo fenomeno. Spesso non sono più seguite da enti o servizi sociali, la scuola si rivela un luogo inadatto e troppo contenitivo, l’ambiente sociale manifesta l’incapacità di comprendere il problema. E invece di supportare la famiglia, esprime atteggiamenti di rifiuto e stigma sociale sia nei confronti del ragazzo che della famiglia.

Sole, spiazzate, rifiutate, le famiglie adottive entrano in crisi. A volte non ce la fanno più a sentirsi famiglia. Noi abbiamo avuto la fortuna di non sentirci soli, di poter parlare con professionisti seri, con amici. E alla fine abbiamo accettato di inserire nostro figlio in comunità, senza che la nostra genitorialità sia venuta meno.

Ritengo però che sia necessario formare le famiglie adottive, prima dell’adozione e dopo. Prospettare loro anche l’ eventualità di una fatica di questo tipo, che già altri hanno vissuto e superato, e che esistono modalità e strumenti adeguati per questi bisogni.

Lettera firmata

 

IRENEBERTUZZICarissimo,

grazie per la tua testimonianza e dell’aver reso partecipi tutti noi della bellezza ma anche delle difficoltà dell’adozione. I figli adottati sono nostri figli in ogni caso. Certo che l’età della preadolescenza e dell’adolescenza  alcune volte (spesso?) rende problematica la gestione dei ragazzi. La ferita dell’abbandono non incide in egual misura nel cuore dei nostri figli. Le manifestazioni possono essere diversificate: apatia, menefreghismo, violenza, fughe, ecc.. quando succede questo le famiglie vanno in crisi: la tentazione sarebbe quella di non riconoscerli più come figli. Ma è questa la strada? In questi momenti di rabbia e di solitudine hanno più bisogno di noi.  I servizi sociali ci sono e non ci sono. Il nostro lettore ha perfettamente ragione quando dice che c’è la necessità di supportare la famiglia che si sente abbandonata a se stessa. E’ importante non chiudersi in se stessi ed avere il coraggio della consapevolezza della situazione per poter agire ed intervenire senza abbandonare i figli.

Indubbiamente la preparazione delle famiglie è basilare anche se questa non ci mette al riparo dai terremoti che possono avvenire. E’ importante rendere le famiglie consapevoli  che i bambini , anche se piccoli, crescono ed è inevitabile doversi confrontare con i  problemi e le difficoltà che i ragazzi ci scaricano addosso. E’ importante ipotizzare la fatica del dover affrontare situazioni pesanti ma  anche pensare di non essere soli.

Adottare un figlio o dei figli è meraviglioso ma nella consapevolezza che occorre prepararsi prima, durante e soprattutto dopo per poter insieme affrontare con determinazione ma anche con serenità le difficoltà che ci si prospettano.

Un caloroso abbraccio,

Irene Bertuzzi

Area adozioni internazionali di Ai.Bi.