Cassazione: basta assegni ai figli che non vogliono studiare né lavorare

“Scarsa propensione agli studi” e il rifiuto di un lavoro nell’azienda di famiglia. Su queste basi i giudici hanno sentenziato che l’assegno di mantenimento nei confronti di un figlio non è più dovuto

L’assegno di mantenimento “non persegue una funzione assistenziale incondizionata dei giovani disoccupati”. È questo il senso della sentenza della Cassazione del 2 luglio 2021 con la quale è stato respinto il ricorso di una mamma che chiedeva che l’ex marito continuasse a pagare il mantenimento alla figlia di 26 anni, la quale non studiava più e aveva rifiutato anche un impiego nell’azienda di famiglia.

Assegno di mantenimento: sì, solo all’interno di un progetto formativo e educativo

Quest’ultimo passaggio è fondamentale nel contesto della decisione dei giudici, in quanto il fatto di avere detto di no a un impiego che papà e zio avevano prospettato alla ragazza, unitamente alla “scarsa propensione agli studi”, è il motivo per il quale la stessa non ha potuto raggiungere l’indipendenza economica.
L’assegno di mantenimento, infatti, non può diventare un mezzo assistenziale incondizionato per i figli maggiorenni senza lavoro, e l’obbligo dei genitori al suo versamento viene meno nel momento in cui il figlio non riesca a raggiungere l’indipendenza economica per mancanza di impegno nel seguire un progetto formativo.

Assegno di mantenimento: nessuno nega le difficoltà, ma deve esserci un progetto che guarda al futuro

Tradotto in parole più sbrigative ma più efficaci: i figli “bamboccioni”, che si adagiano nella comoda posizione di dipendere dai genitori, senza per le meno pensare e progettare un futuro proprio di indipendenza, non possono vedersi garantito in eterno il mantenimento. Perché le difficoltà oggettive possono esserci, il mondo del lavoro può non offrire opportunità immediate, la pandemia può avere complicato enormemente il tutto… Ma il mantenimento nei confronti del figlio si giustifica solo all’interno di un progetto educativo e di un percorso formativo che guardi al futuro. Lo dice il buon senso. E ora anche la Cassazione.