Adozione internazionale. Kenya: “C’è qualcosa di magico negli abbinamenti: appena ho visto mio figlio, ho riconosciuto mio marito da piccolo!”

kenya1Il dono dell’adozione è per i  bambini. Certo, anche per noi genitori, ma il dono più grande, quello della famiglia, lo ricevono loro. Io e mio marito abbiamo ancora negli occhi i piccoli rimasti laggiù in Kenya, in istituto...”.

Erica e Dalmar, mamma e papà di un bambino bellissimo e vivace, Johnson, oggi 4 anni, non hanno dubbi, raccontando la loro storia per #iosonoundono: l’adozione è una cosa meravigliosa, prima di tutto per i bambini abbandonati.

Loro figlio Johnson, incontrato a Nairobi nel 2013, oggi è un bambino che ha un rapporto idilliaco con mamma e papà, tanto che chiede già una sorellina o – in mancanza d’altro! – di un fratellino: “Proprio qualche giorno fa è arrivato il decreto di idoneità per la seconda adozionedice felice mamma Erica – : saremmo felici di poter far condividere la stessa provenienza al fratello o alla sorella di Johnson, ma non sappiamo ancora se torneremo in Kenya o in un altro paese africano”.

Erica, Dalmar e Johnson vivono vicino a Torino e si preparano, in un vicino futuro ad accogliere un altro bambino abbandonato.

Prima di partire non eravamo totalmente digiuni di Africa e non solo in quanto mio marito è di origine somala e ha uno zio che lavora in Kenya – racconta Erica – : per diversi anni durante le nostre vacanze estive io e Dalmar abbiamo fatto volontariato in Tanzania. Abbiamo conosciuto l’Africa povera, sapevamo che in Kenya vi sarebbero state situazioni migliori di quelle che avevamo visto”.

Malgrado una serie di intoppi incontrati per arrivare all’idoneità, la coppia si è decisa per il Kenya, dopo aver organizzato al dettaglio i sei mesi di permanenza richiesti dalla procedura.

Abbiamo entrambi un lavoro da dipendente e abbiamo dovuto così anticipare o portare a termine attività in corso  – racconta Delmar – . Siamo stati poi consigliati bene da Ai.Bi e forse anche fortunati, ma i nostri tempi tecnici, dall’abbinamento in poi, sono trascorsi alla perfezione  così da non eccedere il tempo di permanenza nel paese, i famosi sei mesi che vengono subito prospettati. Così, mettendo insieme ferie arretrate, congedi parentali e straordinari, Erica e Dalmar sono riusciti a restare in Kenya insieme, condividendo un’esperienza meravigliosa”.

Johnson intanto attendeva mamma e papà a Nairobi, nell’istituto delle Suore di carità dell’ordine di Maria Teresa di Calcutta: “Quando siamo entrati nella stanza, così piena di bambini, ero così emozionata che, contrariamente a mio marito, non sono riuscita a riconoscere Johnson!

L’incontro e i primi giorni con il bambino non sono stati facilissimi ma settimana dopo settimana si registravano progressi e affiatamento crescente.

Appena ci ha visto ha pianto – ricordano mamma e papà – . La sua suora preferita ci aveva detto che il bambino metteva sempre il dito in bocca, per consolarsi e che probabilmente avrebbe pianto parecchio. E infatti Johnson esplose un pianto inconsolabile da quando ce lo misero in braccio e per tutto il periodo di affiancamento in istituto”. In Kenya infatti, per circa una settimana, i genitori vanno ogni giorno in istituto, vivendo con il bambino ogni attimo della giornata. “Facevo di tutto per calmarlo o distrarlo, in realtà mi rendevo conto di agitarlo ancora di più- ricorda Erica – . Non so quante volte abbiamo percorso il porticato dell’istituto cantando ‘Fra Martino campanaro’…e Johnson voleva stare solo in braccio a papà!”

E dopo le giornate in istituto, piano piano avvenne il distacco dalla realtà che aveva strappato Johnson dall’abbandono fino all’arrivo di mamma e papà.

A casa a Nairobi avevamo preparato la stanzetta con il lettino, il seggiolone per la pappa, alcuni giochi – dicono Dalmar e Erica – In istituto gli avevamo mostrato delle foto così che il bambino avrebbe potuto riconoscere oggetti e stanze. Arrivati a casa, Johnson teneva gli occhi sbarrati; poi, giocando sul pavimento, con una palla e un gioco sonoro, finalmente vedemmo il suo primo sorriso!

La prima notte tranquilla, le altre attraversate da grida e incubi; voracissimo nel mangiare, Johnson reagiva così alla sua mancanza di certezze. Ma poi pian piano…due mesi a casa con mamma, al nido aziendale nell’azienda del papà, oggi all’asilo: Johnson è un vulcano di energia e di tenerezza.

C’è qualcosa di magico negli abbinamenti: questi bambini assomigliano ai genitori! – conclude Erica ridendo – Appena ho visto mio figlio ho riconosciuto mio marito da piccolo!  Certo, Dalmar potrebbe essere confuso con un calabrese ….!”