Chernobyl: a 25 anni dal disastro sono ancora i bambini i più a rischio

La notte del 26 aprile 1986, all’una, 23 minuti e 58 secondi vi fu la prima di una serie di esplosioni che distrusse il reattore e il fabbricato della quarta unità della centrale elettronucleare di Chernobyl, sul territorio oggi ucraino. L’incidente è diventato il più grande disastro tecnologico del XX secolo.

A venticinque anni dallo scoppio del reattore della centrale nucleare, in Ucraina il cancro continua a uccidere: la speranza di vita dei bambini colpiti da un tumore solido o molle è notevolmente più bassa rispetto a quella dei coetanei europei o americani. Lo scrive il Programma Nazionale di Oncologia Pediatrica 2006-2010 approvato dal Gabinetto dei Ministri d’Ucraina: se in Europa e negli USA le statistiche di guarigione raggiungono il 70% dei casi, in Ucraina scende al 40%, rendendo il tumore una delle principali cause di invalidità e di mortalità infantile nel Paese.

L’obiettivo esplicitato dal Programma Nazionale di Oncologia Pediatrica è quello di innalzare i livelli di non recidiva (entro i successivi 5 anni) fino al 65-70% e diminuire al 10% il tasso di mortalità infantile per tumore.
Alla grave situazione sanitaria si aggiungono i problemi che le famiglie devono affrontare nel momento in cui scoprono di avere un figlio malato: in molti casi si tratta di famiglie estremamente povere, provenienti da zone rurali in cui non esistono adeguate strutture sanitarie. Devono trasferirsi a Kiev: la madre, che di solito assiste il figlio in ospedale, è costretta a lasciare il lavoro, riducendo il già basso reddito familiare o, nel caso di madri single, cadendo in uno stato di indigenza. Questi problemi sono aggravati dalle difficoltà psicologiche che i genitori devono affrontare, legate all’accettazione della malattia del figlio e alla capacità di mantenere una relazione positiva con il bambino. Spesso il bambino è costretto ad abbandonare la scuola o ad essere sottoposto a trattamenti dolorosi, senza capire cosa gli sta succedendo e assistendo, nello stesso tempo, alla sofferenza dei propri genitori a causa di questa drammatica situazione.
Secondo il professor Yuri Alexandrovich Orlov, primario di oncologia presso il reparto di neurochirurgia pediatrica all’Istituto Nazionale del cancro di Kiev, che ha svolto delle analisi sui bambini con età inferiore ai tre anni ricoverati sotto la sua direzione dal 1981 al 2002 che dimostrano inequivocabilmente l’aumento del cancro al sistema nervoso centrale per i bambini con meno di 3 anni.
Per questo studio, pubblicato nel 2004 nell’International Journal of Radiation Medicine, sono stati analizzati 188 bambini colpiti da tumore maligno al cervello. Dalle analisi del prof. Orlov si evince un dato allarmante: facendo una media, l’aumento dei casi di tumori cerebrali tra i bambini con meno di 3 anni è aumentato, nel ventennio dopo lo scoppio della centrale di Chernobyl, di 5,8 volte.

Secondo un monitoraggio del Censis, fino al 2002, i bambini arrivati in Italia per viaggi di solidarietà (per la maggior parte bieloussi) sono stati in media 40mila. Poi i numeri hanno subito una flessione (sui 30mila bimbi stranieri all’anno), visti anche gli anni trascorsi dal disastro e, nel 2010, secondo i dati forniti dal Comitato minori stranieri del ministero del Welfare (istituito nel 1994 proprio in relazione ai progetti legati a Chernobyl), i bambini arrivati in Italia sono stati 19.280, tra i quali 13.894 bielorussi, e 3.514 ucraini.
L’età dei piccoli va dai 6 ai 17 anni e la fascia anagrafica prevalente è quella dagli 8 ai 12 anni. I pericoli legati alla contaminazione nucleare, infatti, dopo 25 anni ancora non sono passati.