Culle vuote? Dal Giappone arriva una “ricetta” per tentare di riempirle

Facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne ,cambiando nel contempo le norme sociali di genere al fine di migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, altrimenti le donne che lavorano, smettono di avere un figlio.

Prosegue inarrestabile il calo delle nascite in Italia. In 50 anni sono diminuite di ben il 60%. Un declino reso più rapido dall’emergenza sanitaria in atto, ma quello della denatalità era un problema con cui l’Italia ormai da molto tempo faceva i conti.

È fondamentale un rapido cambiamento di rotta. Ma come fare per tornare a riempire quelle culle sempre più vuote?

Il declino demografico è il risultato di politiche di piccolo cabotaggio e di scarsa responsabilità nei confronti delle generazioni giovani e future – commenta Elsa Fornero in un articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa- Occorre il coraggio di capovolgere l’approccio e di favorire ciò che può rendere meno fragile il futuro”.

Elsa Fornero pensa in primo luogo alla scuola, che deve divenire una reale priorità ed alla realizzazione di una vera politica per la famiglia: “Bene ha fatto il precedente governo ad introdurre l’assegno unico per i figli […] adesso però bisogna procedere speditamente, con servizi per l’infanzia, organizzazione di cure per le persone fragili, aiuti alle madri che lavorano, tassazione alleggerita del lavoro della donna, affinché esso non sia sempre il primo sacrificabile, così che due redditi consentano ad una famiglia di guardare al futuro con una certa serenità”.

Culle vuote: il Giappone come l’Italia

Il declino demografico è un problema che attanaglia non solo il nostro Paese, anche il Giappone deve fare i conti con il problema delle culle vuote e in generale la denatalità sembra purtroppo essere una tendenza globale che colpisce principalmente i Paesi più agiati.

La spiegazione classica in economia del declino demografico è uno scambio qualità – quantità. Quando un’economia è povera, la gente ha bisogno di più figli in termini anche di forza lavoro – spiega su Avvenire l’economista giapponese Ryuichi Tanaka – quando un’economia cresce, le persone investono di più nella qualità dei figli, ad esempio spendono di più per la loro istruzione. Poiché l’istruzione costa, le persone iniziano a ridurre il numero dei figli. Il declino demografico non a caso si osserva soprattutto nei Paesi ricchi dove i “costi” della natalità sono più alti”.

In Giappone negli ultimi dieci anni sono state molte  le misure intraprese per cercare di invertire la rotta, dagli assegni per i figli, ai congedi parentali, non hanno però sortito i risultati sperati. Il motivo, spiega Tanaka è che sono arrivate troppo tardi. Qualsiasi politica per aumentare le nascite è difficile che sia efficace in una fase di declino”.

Efficaci invece, si sono dimostrate nel Paese del Sol Levante, le misure predisposte per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne, il cui tasso di occupazione, tra i 25 e i 44 anni è aumentato dal 57,1% del 1986 al 77,7 del 2019. “Tuttavia perché questi cambiamenti possano incidere anche sulla fecondità – commenta Tanaka – è molto importante cambiare le norme sociali di genere e migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, altrimenti le donne che lavorano, smettono di avere un figlio” .

Inoltre, continua l’economista, in Giappone, “la partecipazione al mercato del lavoro (delle donne) è aumentata ma allo stesso tempo i loro posti sono di basso livello, part time o a termine. Il miglioramento del lavoro è un altro fattore importante per formare una famiglia”.

Insomma per Tanaka, seppur non è semplice progettare una politica ottimale, anche in Italia per tentare di invertire la tendenza delle culle vuote, il mix più giusto dovrebbe prevedere misure differenti che comprendano sia benefici per le madri che lavorano, sia una significativa riduzione dei costi di mantenimento dei figli.