Dopo Bibbiano. L’allontanamento d’urgenza dei minori dalla loro famiglia? Colpa di quel “maledetto” articolo del Codice civile

In un forum di Avvenire nel mirino l’articolo 403. Sembra assurdo ma tutto dipende da una norma scritta negli anni Quaranta

Quanti sono i bambini che rientrano in famiglia dopo un allontanamento? Chi ne tiene conto? Chi verifica le loro condizioni? Perché lasciare solo ai servizi sociali il potere di decidere degli interventi coatti di allontanamento in urgenza, come previsto dall’articolo 403 del Codice civile? Perché non imporre un tempo massimo per la convocazione della prima udienza di verifica dell’allontanamento? Nel penale, per esempio, un pubblico ministero ha 48 ore di tempo, mentre per i minori passano mesi.

Le criticità dell’articolo 403 e del relativo strapotere dei servizi sociali sono state tra gli argomenti al centro di un dibattito sull’affido condotto, sulla scia dei fatti di Bibbiano, dai giornalisti di Avvenire. L’evento si è svolto nei giorni scorsi e lo hanno raccontato, sullo stesso quotidiano, Luciano Moia e Lucia Bellaspiga. Nel corso dell’incontro sono intervenuti diversi operatori e professionisti del settore.

Professionisti e operatori che hanno, per l’appunto, messo nel mirino proprio l’articolo 403, che, per diversi relatori sarebbe da modificare.La norma – ha spiegato il procuratore della Procura dei minorenni di Milano, Ciro Casconeè del 1941 e non è mai stata modificata, varie proposte di riforma non hanno mai trovato le convergenze necessarie e alla fine tutto è rimasto uguale. Anche l’Associazione italiana dei magistrati minorili (AIMMF) ha presentato una proposta articolata per superare questo problema, ma siamo ancora fermi. Certo, ci sono situazioni che impongono all’autorità pubblica di intervenire in tempi rapidi per risolvere situazioni di emergenza e gli interventi non si possono rimandare: la legge non prescrive in quei casi di segnalare l’intervento alla Procura dei minorenni, così in alcuni casi avviene a Milano sempre in altri no”. Cascone ha aggiunto che per uniformare le procedure dei tribunali, con tempi certi, “occorre modificare la legge”.

A me pare – ha detto invece l’avvocato di Reggio Emilia Patrizia Micà a proposito dei servizi sociali – che il loro potere sia fuori controllo. Un potere di fronte al quale le famiglie non hanno quasi possibilità di intervento. O meglio, la possibilità ci sarebbe, la querela di parte contro l’operato dei servizi stessi, ma per questo la famiglia deve pagare un avvocato, con costi e tempi tutt’altro che certi. Ricordo che non c’è un contraddittorio paritetico fin dall’inizio e questo mina alla base il diritto di difesa da parte della famiglia. Non si può rispondere ogni volta con una querela per falso e così i provvedimenti, anche quelli urgenti, sono in teoria provvisori ma diventano invece lunghissimi, anni e anni. Se nel diritto penale il pubblico ministero ha 48 ore per confermare il fermo, non si vede perché nel diritto minorile non si debba avere la stessa fretta: quando un errore riguardo a un bambino, la famiglia viene distrutta. Quindi possiamo dirlo: ci sono termini troppo discrezionali. Dobbiamo lavorare tutti insieme per modificarli”.

Posizione praticamente identica per l’avvocato Rosanna Fanelli, di Bari, esponente del Movimento 15 maggio per i genitori separati: “L’articolo 403 del Codice civile va sicuramente modificato. Certo, la norma è assolutamente da cambiare. Quando un assistente sociale, o uno psicologo, stende una relazione e la manda a un giudice, quella diventa legge. E non c’è possibilità di cambiare le cose, se non a prezzo di sforzi terribili sul piano giudiziario e su quello economico. E intanto passano anni e le posizioni si consolidano”.