Elezioni politiche 2022. La voce di coloro che non votano: l’assenza prolungata di famiglia per i minori va dichiarata giuridicamente come abuso

L’affido familiare deve essere prioritario rispetto all’affidamento ai servizi residenziali. Oggi il periodo di permanenza dei minori nelle comunità educative supera i due anni previsti per legge e in ciascun anno senza famiglia si possono accumulare circa tre mesi di ritardo evolutivo

Ogni “fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione”. Questo è quanto riconosciuto nel 1989 nel preambolo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza; un trattato che l’Italia ha ratificato più di trent’anni fa con legge n.176/1991.
Si tratta di un diritto collegato al diritto allo sviluppo (art. 6), al diritto alla propria famiglia di origine (articoli 9, 10) oppure, se non c’è o non è idonea, al diritto alla protezione alternativa di un’altra famiglia (articoli 18, 19, 20, 21).

L’affido familiare dovrebbe essere prioritario rispetto all’affidamento ai servizi

In Italia, gli ultimi dati diffusi dal Ministero della Giustizia e dal Ministero del lavoro e delle Politiche sociali nella “Quinta relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001” (2022), indicano che, dopo una relativa stabilizzazione nell’ultimo decennio, negli anni più recenti si è registrata una crescita dell’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni a fronte di uno stallo degli affidamenti famigliari e una diminuzione nel 2018 e nel 2019.
Evidentemente (anche se sarà solo il monitoraggio dei prossimi anni a poter confermare o smentire la tendenza), si tratta di numeri in contrasto con l’intento della legge che prevede come misura prioritaria l’affido familiare e solo in seconda istanza il ricorso a servizi residenziali.
A questo si aggiunge il fatto, a cui lo stesso Governo dà atto (precisando come la durata dell’accoglienza è certamente uno degli aspetti che merita maggiore attenzione), che, in linea con i dati della precedente relazione del 2017, il periodo di permanenza prevalente dei bambini e delle bambine in affidamento familiare e nei servizi residenziali supera i due anni previsti per legge; inoltre, più del 35% dei minorenni accolti in comunità transita ad altra comunità o ad altra famiglia affidataria, reiterando un ciclo di vita fuori famiglia.
In questo quadro disarmante, è rimasta finora lettera morta la raccomandazione del Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia all’Italia del 2019 sulla necessità e urgenza di “istituire un registro nazionale dei minorenni privi di un ambiente familiare, basato su criteri uniformi e chiari su tutto il territorio dello Stato parte”.

Manca un sistema di monitoraggio del percorso del minore fuori famiglia

Nessuno è attualmente in grado nel nostro Paese di monitorare e difendere specificamente e pienamente, anche dai danni provocati dall’abuso dell’accoglienza temporanea, ogni singolo bambino durante il percorso che compie fuori famiglia, dal momento dell’allontanamento dalla famiglia di origine fino al rientro nella sua famiglia, oppure fino all’accoglienza stabile in una nuova famiglia adottiva.
Già oltre dieci anni fa veniva presentato alla Conferenza Nazionale della Famiglia, a Milano, il risultato di alcune ricerche sul danno che l’istituzionalizzazione e la privazione della vita in una famiglia causa sui bambini: in un anno si possono accumulare circa tre mesi di ritardo evolutivo. Tenere i bambini e ragazzi senza famiglia è dunque un abuso.
Ai candidati delle elezioni politiche ormai prossime chiediamo di prendere una chiara posizione sulla priorità delle politiche a protezione dell’infanzia e, in particolare, di garantire una volta per tutte il diritto di tutti i bambini di essere figli e di raggiungere lo sviluppo che meritano, partendo dalla immediata creazione della banca dati sui minori fuori famiglia per fare davvero chiarezza sulle statistiche incomplete e su dati incerti.