Fame di Mamma. Dove si ricomincia a vivere: la comunità mamma-bambino come casa possibile

Un percorso di cura, riscatto e autonomia… è quello che Ai.Bi. Amici dei Bambini offre a tante donne che fuggono dalla violenza e che cercano un futuro per sé e per i loro figli

Chi lavora accanto a madri vittime di violenza – e ai loro figli – ha il compito delicato di entrare “in punta di piedi” in un nucleo familiare ferito e impaurito. Un nucleo che ha perso ogni punto di riferimento, spesso senza più libertà decisionale, e che si ritrova all’improvviso catapultata in una nuova realtà, difficile da accettare ma necessaria per ripartire.

Il lavoro terapeutico del quotidiano

Le regole all’interno di una comunità mamma-bambino sono semplici, ma possono risultare dure per chi proviene da una condizione di apparente autonomia, anche se immersa nella violenza. La convivenza forzata con altre donne e bambini, la presenza costante di educatori, psicologi, assistenti sociali e operatori socio-sanitari può sembrare un ulteriore controllo. Eppure, è proprio in questo contesto che le donne iniziano un percorso di cura.
Quelle regole, apparentemente rigide, diventano punti di riferimento: stelle polari che aiutano a orientarsi in un momento buio e incerto.

Piccoli gesti che curano le ferite

La vita comunitaria è scandita da piccoli compiti quotidiani. Ad esempio, ogni ospite a turno si occupa di gestire, pulire e sistemare gli spazi comuni, e queste occasioni diventano momento importanti per raccontarsi, condividere paure e sogni, creare legami. In questi momenti, il dolore si fa meno solitario, e i gesti quotidiani aiutano a costruire nuove abitudini e relazioni sane.
Attraverso la condivisione, si impara di nuovo a “spezzare il pane”, questa volta con un sapore meno amaro.
Un momento atteso e carico di significato è la festa mensile del cibo etnico, dove ogni donna prepara un piatto tipico della propria terra. È una celebrazione della diversitàrisi e bisi dalle terre venete, cous cous profumati dal Nord Africa, tortillas speziate dal Sudamerica.
La tavola diventa simbolo di accoglienza, occasione per raccontarsi, sentirsi amate e riconosciute nella propria storia e cultura.

I sapori dell’accoglienza

La commistione di culture, esperienze e sapori permette di riscoprire la tolleranza, la curiosità e il rispetto. Qualcosa che sembrava perduto si riaffaccia lentamente: la voglia di fidarsi, di aprirsi, di ricominciare. Le ferite – quelle dell’anima e quelle dei corpi – non guariscono in fretta. Servono tempo, amore e uno sguardo profondo, soprattutto verso i bambini, anch’essi vittime invisibili.
Le ospiti – giovani e mature, italiane o straniere (perché la violenza non conosce età né confini) – trovano nella comunità un luogo di accoglienza che, per quanto temporaneo, diventa una casa.
Qui convivono con altri adulti, operatori e figure professionali, in un equilibrio delicato. Una “gabbia sicura” che, pur con le sue regole, restituisce respiro e ridimensiona i ricordi dolorosi di un amore malato.

Un pensiero ai bambini vittime

Spesso si dimentica il trauma dei bambini, che vengono messi in protezione insieme alla madre. Per loro, il cambiamento è radicale: amicizie interrotte, scuola sospesa o sostituita da homeschooling, continui spostamenti tra uffici e tribunali.
Restano sospesi in una realtà provvisoria, fatta di protezione ma anche di barriere, che non sempre tengono conto del loro bisogno di normalità.
Per fortuna, nelle comunità operano anche volontari dal cuore grande: ex insegnanti che offrono lezioni di italiano, maestre in pensione che organizzano doposcuola, giovani che accompagnano i bambini al parco.
Storie di generosità che si intrecciano a una realtà fatta anche di fatiche e di carenze istituzionali, dove spesso l’unica priorità sembra essere la “messa in sicurezza”, tralasciando l’aspetto educativo, affettivo, sociale.
Negli ultimi anni, l’attenzione mediatica e istituzionale verso la violenza di genere è cresciuta. Tuttavia, gli operatori e le ospiti denunciano una frammentazione degli interventi, una mancanza di regia efficace. La burocrazia fa la sua parte, ma non basta.
C’è bisogno di un surplus di umanità, di una motivazione che va oltre il dovere, che affonda le radici nell’amore per l’altro – e, per chi crede, nell’amore di Dio – per operare in un luogo così fragile e complesso.

Progetti di autonomia: un futuro possibile

Il futuro è nelle mani di queste donne, che grazie al percorso in comunità iniziano a riscoprirsi capaci. Imparano un mestiere, cercano casa, gestiscono i propri risparmi. Offrono ai figli un nuovo modello di vita: difficile, certo, ma anche possibile, sereno, costruito sull’amore e sul rispetto.
Con ogni ospite viene elaborato un progetto individuale, che si adatta nel tempo, si modifica, si corregge dopo ogni inciampo. Perché i sogni, una volta spezzati, tornano ad avere ali. E sono ali forti, radicate nelle proprie risorse, finalmente ritrovate.

Sostieni il progetto “Fame di Mamma”

Grazie ai sostenitori a distanza del progetto “Fame di Mamma”, Ai.Bi. può aiutare nelle sue comunità molti minori bisognosi di aiuto.
Diventa anche tu un sostenitore: puoi farlo con una donazione, cliccando QUI, o con un contributo di 10 euro al mese, aderendo al progetto di Adozione a Distanza “Fame di Mamma”.