Gesù cacciato dalla sua città inizia il suo cammino

gesù cacciatoIn occasione della IV Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione di don Maurizio Chiodi, assistente spirituale nazionale di Amici dei Bambini e de La Pietra Scartata, prende spunto dai brani del Libro del profeta Geremia (1,4-5.17-19), dalla Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi (12,31-13,13) e dal passo del Vangelo di Luca (4,21-30), in cui l’evangelista narra i primi insegnamenti di Gesù nella sinagoga che destarono scalpore e sdegno tra i fedeli.

 

Oggi la Parola di Dio si presenta a noi particolarmente ricca. Ci sono tre letture, più il salmo responsoriale, ricche e belle. Ciascuna meriterebbe di essere meditata con attenzione!

 

Nella prima lettura abbiamo proclamato una parte dell’inizio del libro del grande profeta Geremia, un uomo straordinario, che visse in un periodo molto difficile della storia del popolo di Israele, perché vide e visse sulla sua pelle il dramma della fine del regno di Giuda, la distruzione del tempio di Salomone e l’esilio di tutto il popolo, lontano dalla terra promessa.

 

Geremia stesso si presenta come ‘investito’, eletto, scelto, messo a parte dal Signore fin dal primo istante della sua vita. Anzi, dice di aver udito queste parole: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto».

È bellissima questa ‘certezza’ di Geremia, che il Signore, ancor prima di formarlo, nel grembo materno, lo aveva amato, considerato con uno sguardo di predilezione. Potremmo dire che il ‘liquido amniotico’ di cui fin dall’inizio si è nutrito il piccolo Geremia è l’amore, la grazia, del Signore, un intenso legame con lui!

 

E aggiunge che il Signore lo ha «consacrato» prima ancora che egli uscisse alla luce. Anche questa espressione è particolarmente bella: quando ancora Geremia era nel buio del grembo materno, il Signore era la sua luce, il Signore lo aveva riservato per sé, lo aveva destinato ad una missione unica: essere «profeta delle nazioni», mandato perché tutti gli uomini (le nazioni) potessero ascoltare la voce e la Parola di Dio, attraverso la parola del profeta.

Poi Geremia racconta del dialogo con il Signore. Ma, al di là delle sue proteste e delle sue difficoltà, il Signore lo manda e Geremia accetta, con libertà!

 

Verso la fine di questo stretto e incalzante dialogo, il Signore dice al profeta: «non spaventarti di fronte a loro». Lo invita a non avere paura, a non fuggire le difficoltà, ad affrontarle con forza e coraggio, non contando su di sé e sulle sue forze, ma fidandosi totalmente del suo Signore: «ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata … contro tutto il paese», dai «capi», ai «re», ai «sacerdoti».

Aggiunge, il Signore: «Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». “Io sarò con te. E per questo che tu, Geremia, non devi avere paura. E ti salvo, ti salvo io. Fidati”.

 

Vedete, queste parole ogni cristiano – perché ognuno di noi è ‘profeta’ in forza del suo battesimo – le dovrebbe fare sue e custodirle nella memoria, con gratitudine.

Quando parliamo a nome di Dio – questo fa il profeta – quando diamo testimonianza a Gesù, non dobbiamo avere paura di niente e di nessuno. Non perché siamo strafottenti, arroganti o presuntuosi, ma perché la nostra forza è il Signore che ci sta accanto e ci salva, con il suo amore che ci avvolge, come un bimbo nel grembo materno!

Se, invece, ci lasciamo prendere dalla paura di essere cristiani, profeti di Dio in questo nostro mondo, allora la paura ci invaderà l’animo. Così dice il Signore al suo profeta: “se tu ti spaventi, se tu non ti fidi di me, «sarò io a farti paura davanti a loro».

Chi non si fida del Signore, si allontana sempre più da lui, diventa sempre più pavido, un cristiano debole, scialbo, tiepido, all’acqua di rose. Un profeta muto, un cristiano insignificante. E quanti ce ne sono! Dio ci guardi e ci preservi da questo!

 

Questa parola, che è vera per tutti gli uomini, è vera in un modo unico e singolare per Gesù.

Oggi abbiamo ascoltato la seconda parte del racconto cominciato nel Vangelo della scorsa domenica, quando Gesù, nella sinagoga di Nazareth, leggendo un bellissimo testo del profeta Isaia, poi proclama in modo solenne: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

 

Il Vangelo, oggi, racconta le reazioni della gente di Nazareth e le risposte di Gesù, dandoci un concentrato o come un’anticipazione di tutta la storia successiva di Gesù. Alla fine, infatti, Luca dice che «lo cacciarono fuori della città», in una chiara allusione alla morte di Gesù, che avvenne fuori Gerusalemme, e aggiunge che «lo condussero fin sul ciglio del monte … per gettarlo giù».  È una reazione durissima, contro Gesù!

Gesù, alla fine, morirà proprio così, ucciso perché rifiutato da coloro ai quali era stato mandato. Ma lui non si è lasciato ‘travolgere’ e spaventare dal rifiuto. È andato fino in fondo.

 

Il Vangelo di Luca dice che, adesso, «passando in mezzo a loro, si mise in cammino».

Gesù comincia il cammino che, nel Vangelo di Luca, in un unico grande viaggio, lo condurrà fino a Gerusalemme.

Non è però ancora giunta la sua ora, direbbe il Vangelo di Giovanni.

Alla fine lo vogliono uccidere, e lo uccideranno, ma era cominciato tutto in un altro modo.

 

Qui, anticipando il successivo ‘cammino’ di Gesù, Luca racconta come all’inizio la gente di Nazareth era meravigliata «delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca». Bellissima questa espressione: dalla bocca di Gesù escono «parole di grazia». Non parole di veleno, di accusa, non parole cattive e distruttive.

Uscivano «parole di grazia».

Queste sono le parole di ogni profeta. Queste dovrebbero essere anche le parole che escono, sempre!, dalla nostra bocca.

 

Qui sarebbe bello fermarsi sullo splendido testo della prima lettera ai Corinzi, dove dalla bocca e dalla penna di Paolo escono davvero «delle parole di grazia», parole che – come un inno sovrabbondante – dicono e cantano dell’amore, la carità, la gratuità: questa – che è anzitutto un dono di Dio, anzi è Dio stesso che si comunica a noi perché noi doniamo quello che abbiamo ricevuto – è pazienza, è benevolenza, è assenza di invidia, è umiltà, è attenzione e premura verso l’altro, è desiderosa dell’interesse dell’altro, non è arrabbiata, non è vendicativa, non è meschina, ma cerca la verità.

Splendide «parole di grazia», che nascono dalla bocca di uno che ha fatto l’esperienza della grazia di Gesù, che è venuto a ‘proclamare l’anno di grazia del Signore’!

 

Però, subito, dopo aver ascoltato le parole di grazia di Gesù, la sua gente si lascia prendere e sconvolgere dal dubbio: “Ma questo qui, chi è? Chi crede di essere? È uno di noi! È il figlio di Giuseppe!!”

E allora sfida Gesù. Gli chiede di fare, anche lì, a Nazareth, da loro, i miracoli compiuti a Cafarnao. Anzi, ne pretenderebbe ancora di più grandi.

È la tentazione, loro e nostra, di ‘approfittare’ di Dio, di usarlo a nostro favore, come un portafortuna o un ombrello nei giorni di pioggia, o un parafulmine nel temporale, o un air-bag in un incidente.

 

La risposta di Gesù è franca e, per questa gente che non si fida di lui, appare dura, fino all’esasperazione.

Gesù rivela la loro incredulità, quando dice che Elia fu mandato a una vedova non di Israele e Eliseo guarì un lebbroso straniero.

La grazia di Dio ‘colpisce’ e guarisce solo chi la invoca come grazia e non come pretesa.

 

Allora la grazia diventa nostra gioia, diventerà, anche per noi, parole e opere di grazia per coloro che ci stanno accanto, perché anch’essi possano ‘gustare’ la grazia del Signore!