Goma: sostegno senza distanza e bambini sotto le bombe “Come progettare un futuro che non sia solo svegliarsi vivi la mattina dopo?”

goma-aibinewsLa cosa più facile? Far sorridere un bambino. La cosa più  difficile? Far cambiare il governo e smettere la guerra. Oscar Tembo, il coordinatore Ai.Bi. dei progetti su Goma, ha portato a Gabicce la normalità  della tragedia.

Parla con la determinazione schietta di una persona abituata a rischiare la vita ogni giorno.  Non sono un eroe. E’ solo la mia vita.

Goma  è la mia città, ci sono nato, lavoro lì , ho lì  tutta la mia famiglia. Ho trent’anni e a casa ci sono dieci persone che mi aspettano. Anche adesso che me ne sto qui tranquillo, in un albergo, col mare davanti, mangiando a pranzo e cena, camminando senza dover stare allerta, io continuo a pensare a loro.

Se anche potessi andarmene da Goma, non lo farei mai. Non posso certo lasciarli soli per troppo tempo.

Ma come si vive sotto le bombe, in un posto dove manca tutto, in primo luogo la sicurezza?

Si sta sempre sul chi vive. Cerchiamo di fare dei piccoli piani di emergenza quotidiani per mettere in sicurezza i nostri bambini. Ogni giorno, per esempio, cambia il percorso che devi fare per raggiungerli. Ci sono mattine in cui alcune strade sono sicure e magari gi  la sera non lo sono più  e devi assolutamente evitare di passarci, se ci tieni alla vita.

In Italia  è scattata una vera gara di solidarietà  per l’emergenza Goma.

Che cosa siete riusciti a fare finora con gli aiuti?

Abbiamo fissato delle priorità, e non è stato facile. Non si sa davvero da che parte cominciare quando manca tutto. Noi seguiamo 235 bambini in un centro e altri 92 in un altro. Sono tantissimi e senza niente. Per prima cosa, abbiamo cercato di assicurare l’acqua potabile.

L’acqua è vita, è salute, bisognava partire di lì. Poi abbiamo acquistato coperte e pagliericci perché  potessero avere un letto, anziché  la terra e dei sassi, su cui stendersi. Ma non si dorme con la pancia vuota e, così , cerchiamo di garantire almeno un buon pasto nutriente a tutti loro. E poi un abito, uno solo per ciascuno: meglio uno, che nessuno! E infine le scarpe, perché  prima tutti camminavano scalzi anche se dovevano fare chilometri. Questi sono proprio i bisogni primari, quelli legati alla sopravvivenza. Poi bisognerà  iniziare a occuparsi di loro dal punto di vista affettivo e familiare. Sono soli al mondo? Hanno ancora dei genitori o un parente disperso da qualche parte nel Paese? E  possibile progettare per loro un futuro che non sia semplicemente superare l’emergenza quotidiana e riuscire a svegliarsi vivi ogni mattina?