Utero in affitto. La guerra non ferma il business dei bambini

In Ucraina continuano a essere portate avanti le maternità surrogate per conto di coppie provenienti da tutto il mondo. La guerra e le difficoltà economiche hanno spinto ancora più donne a offrirsi per portare avanti le gravidanze per altri

Tonnellate di grano sono bloccate nei porti, ma il “business” dei bambini non si ferma. Il paragone è chiaramente una provocazione, ma può essere utile per capire un paio di questioni. La prima: la maternità surrogata, in Ucraina, è una questione “d’affari”, come il grano, appunto, essendo il Paese l’unico, insieme a Georgia e qualche stato USA, in cui la pratica dell’utero in affitto è consentito anche a fini commerciali. La seconda: nonostante la guerra, le famiglie continuano ad arrivare da tutto il mondo a Kiev per usufruire dei servizi della Biotexcom, l’azienda più famosa a offrire questo tipo di servizio; quella, per chi si ricorda, che in occasione del Balck Friday faceva promozione sulle pratiche di fecondazione e affini.

Diventare madri surrogate come soluzione alle difficoltà economiche della guerra

D’altra parte nemmeno la pandemia aveva rallentato più di tanto gli affari, con l’azienda pronta ad affittare un hotel per i bambini già nati ma non ancora “consegnati” per via delle restrizioni sugli ingressi nel Paese.
Oggi, al posto della pandemia c’è la guerra, ma il business dei bambini prosegue quasi come prima.
A dedicare un lungo articolo alla questione è Avvenire, che sottolinea come, per assurdo, la guerra e i conseguenti problemi economici abbiano spinto più donne a offrirsi come madri surrogate. Anche perché, come spiega un manager dell’azienda al quotidiano della CEI, solo dall’Italia ci sono già 15 coppie in lista d’attesa e molte di più da tutto il resto del mondo.
Prima della guerra Biotexcom faceva nascere fino a 600 bambini in un anno, cosa che l’ha resa la più prolifica “produttrice” di bambini dell’Ucraina (in totale i bambini nati con l’utero in affitto si aggiravano sui 2000 – 2500 all’anno).
A livello logistico la guerra qualche problema l’ha creato: una bomba è caduta poco distante da una palazzina dell’azienda causando una vittima (non tra le donne in gravidanza). Ma i responsabili hanno provveduto a mettere in sicurezza alcuni locali, mostrando le immagini in tutto il mondo per rassicurare le coppie di genitori “potenziali” in attesa di un bambino da andare a prendere appena nato.
La legge ucraina consente di riconoscere come proprio un figlio nato da altra donna: uniche condizioni sono che il parto avvenga sul territorio nazionale e che la coppia sia fisicamente presente, per questo, nonostante i pericoli, i futuri genitori continuano a venire a Kiev.

La condanna dell’UE nei confronti della maternità surrogata: pratica di “sfruttamento”

Pericoli che sono anche quelli che corrono le donne che accettano di portare avanti una gravidanza per conto di altri, spesso spinte unicamente dalla necessità economica: per questo il Parlamento UE ha ribadito la sua condanno per una pratica considerata di “sfruttamento”.
Avvenire riporta l’esempio di una donna arrivata da Dnipro, a 500 chilometri di distanza, sfidando le bombe per fare i controlli relativi alla seconda gravidanza portata avanti per altri. La prima volta ha partorito due gemelle, che ora vivono in Spagna. Oggi aspetta ancora due bambine, destinate a una coppia cinese. Venendo verso Kiev “avevo paura”, racconta “ma è importante che vada tutto bene, ora più di prima. Lavoro in un panificio e guadagno 8mila grivnie al mese, circa 250 euro. Mio marito è disoccupato e ho due figli, di 12 e 6 anni. È l’unica speranza di dare loro una casa. Sempre che una bomba non la distrugga. Che altro posso fare?”.
Già, che altro si può fare se il grano marcisce nei porti e i bambini continuano a essere commerciati in tutto il mondo?