Haiti: la paralisi degli aiuti

HAITI-QUAKE-VICTIMSDue mesi e mezzo dopo il sisma, a tre giorni dall’inizio della conferenza dei donatori a New York, tutto è fermo al 12 gennaio 2010. Non si sa quanti siano i morti, anche se è certo che è stato un disastro peggiore dello tsunami concentrato su pochi chilometri quadrati. La scossa ha distrutto i palazzi coloniali della città vecchia, la cattedrale, il palazzo presidenziale e quasi tutti i ministeri. Poi sono crollate le case costruite sulla ghiaia in periferia e cadute per effetto domino. Hanno resistito le case dei ricchi in collina a Petionville e le baraccopoli come Cité Soleil che da sola ospita mezzo milione di persone.

Attorno alle macerie della città vecchia aleggia l’odore della morte. Ci sono palazzi accartocciati nel centro di Port­au- Prince dove nessuno ha potuto estrarre i cadaveri per gettarli nelle fosse comuni. Ma sulla Rue des Miracles, la via dei miracoli, che taglia il centro fino al porto, la vita è ripresa in uno scenario spettrale. Le tende spuntano nei parchi, nei campi sportivi, su terreni privati da dove i proprietari vorrebbero sloggiarle, invadono le strade. Non vi sono latrine, l’igiene è precaria. In più il crollo del carcere ha rimesso in libertà i delinquenti più pericolosi della capitale.

La gente nei campi conferma infatti che gli aiuti non arrivano. La distribuzione dei vi veri è più tranquilla, ma il programma alimentare del l’Onu distribuisce sacchi di riso da 50 chili solo davanti ad alcuni commissariati con la scorta armata dei mari nes. La situazione sta diventando in sostenibile, l’acqua costa 60 centesimi al litro. C’è un fiorente mercato nero degli aiuti in un Paese che, prima della tragedia, era agli ultimi posti per corruzione della pubblica amministrazione.

In città vi sono 5000 ONG, ma tutte sono costrette a lavorare a rilento. Per giunta il governo ha animato contro di loro una campagna di ostilità.

“Non ho mai visto una situazione così difficile – afferma Mauro Ansaldi, l’esperto italiano responsabile del team d’emergenza della Caritas Internationalis – sembra il peggiore degli incubi dopo due mesi siamo ancora in piena emergenza, che protrarremo fino a maggio. Vi sono problemi colossali che ostacolano qualunque intervento. Dopo i rapimenti delle settimane scorse di operatori Caritas, la sicurezza è precaria. Di sera scatta il coprifuoco, vi so no zone inaccessibili in città mentre la mancanza di strade ostacola la distribuzione degli aiuti fuori”.

E i fondi? “Paradossalmente la rete Caritas globale ha raccolto 300 milioni di euro. Resteremo qui per anni, ma se mancano le linee strategiche per ricostruire, possiamo fare davvero poco. Come possiamo inter venire strutturalmente in campi che le autorità vogliono spostare perché la zona è peri colosa e sovraffollata e va demolita? D’altro canto nessuno sa dove mettere la gente. Pri ma del terremoto la situazione era disastrosa, oggi lo Stato non c’è più».

La Caritas ha scelto tre vie di intervento d’emergenza. La prima è assicurare nei campi la distribuzione dell’acqua potabile e l’installazione di latrine, fondamentali per l’igiene nella stagione delle piogge. La seconda è distribuire il cibo attraverso una collaborazione con l’Onu, la terza è intervenire sulle fasce più vulnerabili, in un paese dove 300 mila bambini poveri vengono venduti a famiglie più ricche dai genitori come domestici.

La Caritas chiede un piano Marshall per Haiti di 20 miliardi di dollari per cinque anni che delocalizzi la popolazione dal la capitale dando alloggi e opportunità lavorative alle famiglie terremotate, che protegga i più vulnerabili e ricostruisca le scuole e gli o spedali per migliorare una situazione già gravissima. Proponiamo perciò che metà degli aiuti vadano al sistema sociale e che siano gestiti dalle ONG”. La corte dei miracoli che circonda le rovine della cattedrale, il popolo disperato dei cam pi, la gente degli slum non hanno voce, ma per una volta il mondo dovrebbe ricordarsi della povera Haiti, angolo d’Africa nei Caraibi.

(fonte: Avvenire)