“Il bambino promesso”: intervista a Massimo Bavastro, scrittore e vincitore del Premio letterario Pea!

Il premio Pea, uno dei più prestigiosi del panorama italiano, conferito ai testimoni dell’adozione internazionale: Massimo Bavastro, autore de “Il bambino promesso”, entra nella letteratura nazionale raccontando il suo diventare padre adottivo e racconta il suo vissuto in un’intervista.

Che venga definito un manuale di “autoaiuto”, un racconto, un’incredibile storia di vita,  “il bambino promesso” è sicuramente un’emozione tangibile.
Non è solo la storia di un’adozione, di una decisione e di un viaggio, è un libro sul cambiamento, sulla possibilità e sul rischio, sull’amore, sull’adrenalina e sul supporto reciproco.

Lo ha raccontato dettagliatamente Massimo Bavastro, aggiungendo paure, ansie, preoccupazioni, in una puntuale descrizione di un’avventura che avrebbe potuto “fare famiglia” o, al contrario, portare alla sua totale distruzione. Il racconto dei nove mesi in Kenya, obbligatori per il governo keniota per portare a termine le pratiche adottive, fino all’abbraccio con il piccolo Tom.

Un racconto, romanzo, pezzo di vita che raggiunge il cuore di ogni lettore e che fa capolino nel panorama nazionale della letteratura italiana.
È andato proprio al suo autore, Massimo Bavastro, il prestigioso premio Pea,
bandito dalla libreria indipendente “Nina”, di Pietrasanta; un premio che combina i dati di vendita con il gradimento dei lettori.

Intervistato, l’autore del romanzo aggiunge un commento sulla genitorialità:ho ricevuto messaggi e feedback da molti lettori: persone che, non necessariamente genitori adottivi, si sono comunque confrontate con il tema dell’essere genitori – anche genitori naturali appunto, perché, come dice qualcuno, ogni genitorialità è una genitorialità adottivaMolto spesso intorno ai genitori adottivi si sviluppa una sorta di mistica: quasi un’aura di santità che avvolge chi adotta. Come ogni etichetta, anche questa va molto stretta, e limita fortemente la “possibilità di movimento”, anche e soprattutto interiore.”

L’arrivo del “bambino promesso”, raccontata quasi come se fosse un’intrusione, porta in auge delle domande che l’autore sottopone a sé stesso: “Com’è possibile compiere un percorso così lungo, tre anni ad accumulare documenti, a parlare con assistenti sociali e psicologi, e poi arrivare all’incontro con il bambino e non riconoscerlo all’istante?”.

Insomma, un libro autentico, senza frottole né mezzi termini che descrive come non debba necessariamente accadere tutto e subito: questo è uno dei “messaggi”, credo, che i lettori hanno apprezzato di più, e che mi sembrano importanti. Il libro mostra perciò una serie di “casi”, di problemi, anche molto diversi fra loro – e, senza voler essere didascalico, racconta il modo in cui sono stati affrontati e superati.

Forse è anche per queste ragioni che il libro è diventato un “caso” fra le coppie adottive. So infatti che se ne parla nei forum legati all’adozione, e che alcuni psicologi lo consigliano a coppie in procinto di adottare.

Anche se non era questo il mio primo obiettivo, ha finito per diventare una sorta di “manuale di istruzioni”. E, anche se quando l’ho scritto volevo scrivere semplicemente un libro bello, sono contento ogni volta che posso constatare che è stato utile.”