Il problema della età nelle Adozioni internazionali. Psicologa di Ai.Bi. “Sotto i 6 anni è piccolo, sopra è grande: ma in realtà è una contraddizione”

L’espressione “bambino grande” appare, di primo acchito, quasi una contraddizione in termini…l’immagine associata alla parola bambino per chi si approccia alla genitorialità inizialmente non può che avere le sembianze di un paffuto neonato o di un piccoletto che tende le manine e ha bisogno di essere nutrito, vestito e coccolato.

L’approccio all’adozione implica un lavoro di ristrutturazione, non una semplice sostituzione, di questo immaginario che prevede la maturazione di un approccio profondamente differente, nel quale non è più il bambino “che nasce dal genitore” ma è il genitore “che nasce dai bisogni del bambino” pertanto l’idea di adottare i bambini più cresciuti non può che essere vissuta inizialmente con fatica.

Quando un bambino è piccolo e quando un bambino è grande? – si chiede Dr.ssa Lisa Trasforini, Psicologa e psicoterapeuta di Ai.Bi. –Per rispondere a questa domanda si potrebbe fare riferimento alle fasi di sviluppo psico-fisico, allo sviluppo di abilità cognitive e di autonomia….ma tutto questo va poi parametrato con le esperienze di vita, di attaccamento a figure di riferimento, traumi e così via”.

La grande suddivisione che talvolta tranquillizza le coppie è ‘sotto o sopra i 6 anni’ – continua –, età che sembra essere percepita come confine tra un bambino con il quale tutto è ancora possibile e un bambino “già formato”; tutto questo è in parte vero ma la complessità va ben oltre”.

I bambini vissuti in condizioni di deprivazione e di disorganizzazione vivono uno sviluppo meno lineare dei coetanei che hanno invece sperimentato un attaccamento sicuro e una corretta risposta ai loro bisogni, ma non esistono formule predittive che, inserendo tutte le variabili, ci possano fornire un risultato certo, neanche l’adozione di un neonato.

Ciò che fa differenza nell’adozione, ciò che può rendere le adozioni ‘un successo’ – precisa – è quella forma di amore consapevole e di senso reciproco di appartenenza che permette quindi al bambino di sentirsi amato e di sentirsi importante trovando nella sua famiglia quel luogo sicuro dal quale ripartire per affrontare il mondo, laddove le difficoltà sono passaggi e la scelta di essere genitori proprio di quel bambino trasforma l’anima e la psiche”.

Pensando alle adozioni di bambini cinesi più grandicelli, ascoltando le testimonianze di chi ha vissuto questa esperienza, emerge come l’incontro con il bambino avvenga con una predisposizione diversa da quella che si avrebbe con un bambino molto piccolo per il quale si dà per scontato che ci possa essere smarrimento, che possa piangere, per il quale si userebbe immediatamente come strumento di comunicazione il gioco e la fisicità mentre l’impatto con un bambino grande fa più “paura”, si ha più paura di traumatizzarlo, non si è così sicuri che si affidi facilmente…ma poi, quando si entra in contatto, subito si evidenzia come nel suo cuore le istanze siano le stesse.

La maggiore capacità di comunicazione, seppure in un’altra lingua, e di comprensione già sviluppate predispongono il bambino ad avere una propria idea di coloro che diventeranno mamma e papà e ad avere capacità di elaborazione di quanto gli sta accadendo e aumenta nelle coppie la paura “di non piacere”, “di essere rifiutati”, in fondo si è così diversi da lui!

Il messaggio che un bambino al primo incontro deve ricevere è quello di essere atteso, di essere stato pensato e di sentirsi sicuro, di avere delle braccia pronte ad accoglierlo, ma rispettando i suoi tempi e la sua capacità di dare confidenza. Questi bambini sono abituati a vivere in un sistema molto organizzato che non può tenere conto delle esigenze specifiche del singolo e pertanto devono essere accompagnati a scoprire chi sono mentre si avvia il processo di attaccamento e di reciproco adattamento.

I bambini che vengono dall’Istituto di Xi’An, per esempio,  sono bambini che hanno spesso sperimentato alcune forme di amore (spesso infatti già dai 3/4 anni vengono inseriti in famiglie affidatarie) e questo, se da una parte può sembrare essere una sorta di minaccia, è in realtà un ottimo punto di partenza; hanno saputo cosa vuol dire essere amati e amati – o quantomeno cresciuti – con cura.

Saranno con molta probabilità più capaci di affidarsi ai nuovi genitori.

Avviciniamoci a loro con il cuore – conclude – , con grande umiltà, con coraggio e decisione, con rispetto, con la consapevolezza soprattutto di essere una nuova famiglia, una famiglia nuova”.