Il rito della benedizione delle adozioni. Don Chiodi: “La doppia fiducia dell’adozione”

unadozione-benedetta 200 200Che fosse davvero importante quel momento, lo ha colto anche Serena, la più piccola dei protagonisti. Tre anni, cinese, il visino tondo incorniciato da un caschetto di capelli neri sottilissimi, ha osservato in silenzio tutto quello che le succedeva intorno. L’unica richiesta che la piccola ha fatto è stata quella di partecipare,  protetta dalle braccia di papà Enrico.

Ma la più fortunata è Cielo Zambelli, sette anni, boliviana,  un sorriso sdentato e gli occhi lucidi che nascondono l’emozione dietro gli occhiali rosa, ha il vantaggio di poter mantenere a lungo il ricordo di questo giorno speciale, nel quale per entrambe è stato celebrato il rito della benedizione delle adozioni.

Nel momento dell’eucarestia, i genitori sono saliti sull’ altare per ricordare l’impegno del matrimonio, alla cui base c’è il dono dell’amore reciproco. Il Celebrante ha chiamato vicino a sé le bambine, le quali hanno risposto ‘eccomi’ alla chiamata. La più piccola lo ha fatto attraverso la voce dei suoi fratelli, che hanno ricomposto sull’ altare l’intera famiglia Gallozzi. A quel punto i genitori hanno poggiato le mani sul capo delle figlie per proclamare davanti all’ assemblea dei fedeli e davanti a Dio la formula che inizia con: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato». Subito dopo l’abbraccio tra genitori e figli sancisce il legame filiale davanti al Signore. Il rito si è concluso con la preghiera di benedizione fatta dal sacerdote.

Il significato del rito della benedizione delle adozioni lo spiega don Maurizio Chiodi, teologo e padre spirituale del Movimento delle famiglie Ai.Bi.

Che cos’è questo rito?

«Per ora è una sperimentazione a cui la Cei guarda con estremo interesse. Questo rito è stato celebrato già in diverse parti d’Italia da parroci e vescovi. Non si sostituisce al battesimo, ma è il riconoscimento ecclesiale della scelta adottiva. E’ la risposta alla volontà da parte della Chiesa di dare visibilità all’ adozione».

Ma Ai.Bi. lo ha inventato di sana pianta?

«No. Tutto è nato da una scoperta fatta in Moldova , dove la Chiesa ortodossa conserva questo rito. Quando Ai.Bi. ne ha avuto notizia, ha deciso di affidare a un gruppo di esperti lo studio del rito da un punto di vista storico e liturgico. Sono emersi 18 riti differenti. Al termine di questo lavoro, lungo e complesso, si è passati alla rielaborazione del rito per adattarlo alla tradizione cattolica».

Questo rito quale messaggio vuol trasmettere?

«Non è un caso se nella Bibbia le parole che ricorrono più spesso sono due: Dio e figlio. Il valore di questo rito è uno solo: e cioè che il figlio adottato viene custodito come dono del Signore. E questo vale anche per i figlio biologici. Non basta mettere al mondo una creatura, tutti i genitori sono chiamati ad adottare quel bambino come proprio figlio.  Nel caso poi dei figli abbandonati, essi portano sul loro volto l’immagine di Gesù che ha sperimentato sulla croce l’abbandono, e Gesù mettendosi nelle mani di Dio si è fidato di lui. In una adozione siamo in presenza di una doppia fiducia: quella del bambino che si lascia adottare come figlio e quella dei genitori che vengono adottati come padre e madre dal figlio».