In Italia, tempi biblici per ottenere l’adottabilità. Zevola (Tribunale di Milano): “Così solo il 40% viene adottato”

giudiceRicordate il figlio di Martina Levato e Alexander Boettcher, i due giovani finiti in carcere per le aggressioni con l’acido? Il piccolo oggi ha 9 mesi e, nonostante il pubblico ministero minorile Annamaria Fiorillo avesse chiesto di dichiarare lo stato di abbandono del bimbo subito dopo la sua nascita, l’istruttoria nell’ambito del procedimento di adottabilità non pare destinata a concludersi a breve.

Quello del figlio della “coppia dell’acido” non è certo un caso isolato. I tempi di questi procedimenti, in Italia, sono in genere interminabili, con gravi ricadute sugli stessi minori che, nell’attesa di conoscere il loro destino, consolidano i rapporti con i genitori biologici e vivono poi l’eventuale distacco in modo traumatico.

“A Milano ogni anno seguiamo circa 140 procedimenti di adottabilità da madre nota – rende noto il presidente del Tribunale per i Minorenni meneghino Mario Zevola -. Di questi, non più del 40% finisce in adozione. I tempi delle istruttorie sono lunghissimi, durano in media un anno e mezzo. Nel frattempo si rafforza la relazione con la famiglia di origine e diventa molto difficile decidere per un’adozione, anche in casi estremi”.

A cosa sono dovute queste lungaggini? Lo spiega la stessa pm Fiorillo, che spinse per ottenere lo stato di abbandono del figlio di Martina e Alexander “per totale e irreversibile inadeguatezza” dei genitori, proprio con l’obiettivo di preservare il minore dalla lunghezza di un iter solitamente lungo e difficile. Dopo la decisione di primo grado, con eventuale dichiarazione di adottabilità, in genere ci sono i ricorsi. “La Corte d’Appello può annullare la sentenza – spiega Fiorillo –: in questo caso il minore che era stato sistemato nella nuova famiglia viene restituito a quella di origine, con conseguenze spesso drammatiche”. Il processo d’appello, con possibili nuove perizie, e quello eventuale di Cassazione, “allungano l’iter giudiziario che evidentemente non è compatibile con il miglior interesse del minore ad avere subito una stabilità affettiva e relazionale”, dice ancora la pm di Milano.

Quali sarebbero i tempi giusti? Un anno sarebbe già eccessivo per il bene di un bambino”, sostiene Alessandro Sartori, presidente dell’Associazione degli avvocati per la famiglia e i minori (Aiaf).  In Europa in genere se la cavano meglio. “Hanno maggiore disponibilità di organico e meno difficoltà ad assumere il rischio di decisioni drastiche e tempestive”, conclude Sartori.

Velocizzare i tempi vorrebbe dire riuscire a evitare distacchi sempre più traumatici man mano che il neonato cresce. “Condotte sociali aberranti, assenza di empatia o forti carenze nella disponibilità a prendere in carico i bisogni altrui – spiega la psicoanalista Simonetta Bonfigliorendono l’allontanamento definitivo del bambino dal contesto familiare l’unica soluzione possibile”.

 

Fonte: Corriere della Sera