Kirghizistan: “Mi chiamavano mamma ma, era solo una truffa”

Pubblichiamo due articoli apparsi sul quotidiano La Stampa (del 14/12/12) che riguardano una tragica odissea di 30 coppie che sono state truffate dopo aver cominciato un percorso adottivo in Kirghizistan. Il primo è la testimonianza, di questa triste avventura, rilasciata da una delle coppie protagoniste e il secondo è un’intervista fatta a Daniela Bacchetta, vicepresidente della CAI, su questo sconcertante caso.

“Una settimana insieme, poi l’intermediario e sparito con i soldi”

Un giorno d’estate arriva una foto a casa e scoppi a piangere. Ti dicono: queste sono «le bambine assegnate». Le tue bambine. Bellissime. Sono nate a Bishkek, Kirghizistan, sorelle di 4 e 5 anni. Hai già i nomi italiani, Claudia e Gemma. Perché sono tre anni che non pensi ad altro, da quando hai deciso di tentare la lunga strada delle adozioni internazionali. «Io e mio marito eravamo felici. Quel giorno eravamo convinti di essere diventati genitori. Abbiamo dipinto la cameretta delle sorelle, le abbiamo iscritte all’asilo. Ricordo che durante un viaggio di lavoro a Copenaghen, ho riempito la valigia di Lego. E poi ho comprato vestiti, pigiamini, giochi. Lo ammetto, forse ho un po’ esagerato…». Ma provate a mettervi nei panni della signora Gabriella Falena e del marito Maurizio: come potevano immaginare di andare incontro a una truffa internazionale? Truffa sulla loro pelle. Truffa sulla pelle dei bambini. Trenta coppie di aspiranti genitori italiani sono state illuse alla stessa maniera. Partite dal Lazio, dalla Liguria, dalla Toscana e dalla Lombardia, hanno baciato i loro figli adottivi. Hanno promesso di tornare a prenderli prestissimo. Ma era un inganno da 10 mila euro a pratica. Esami obbligatori, propedeutici all’adozione internazionale: elettrocardiogramma, sangue, malattie infettive, controllo sull’assunzione di alcol, eroina e cocaina, test psicologici e attitudinali, visite psichiatriche. «Poi ci hanno chiesto di controllare il nostro conto bancario – spiega la signora Falena – non bastava la busta paga. Poi dovevano venire i carabinieri per un sopralluogo. Mi ricordo che tagliavo l’erba di continuo, volevo che trovassero la casa perfetta». Intanto, due mercoledì al mese, Maurizio e Gabriella Falena facevano colloqui con le assistenti sociali: «Volevano prepararci all’eventualità più dura. Che i bambini fossero malati o anaffettivi. Ma nessuno ci ha preparato a una cosa così…». Tempo. Ci vuole pazienza. Bisogna aspettare notizie dall’ente intermediario, in questo caso «Airone», ufficialmente accreditato. Fino a quando arriva la foto. E allora si può piangere di gioia e si fissa la data di partenza.

Maurizio e Gabriella Falena volano in Kirghizistan, via Istanbul. «La città è bellissima, montagne alte, aria limpida. Ma ci portano in questo orfanotrofio. Sconvolgente. Cinquanta bambini ci corrono incontro. Avevamo caramelle, biscotti e bolle di sapone, ma non bastavano per tutti. Urlavano: “Mamma, mamma!”. È stato micidiale. Non riuscivamo neppure a trovare le nostre sorelline. Ma c’erano. Le hanno portate fuori. Sono venute con noi in albergo. Abbiamo passato insieme una settimana». Qui compare il signor Alexander Anghelidi, nel ruolo di mediatore. «Ha voluto 1500 euro in contanti, nonostante il regolamento prevedesse solo pagamenti tracciabili… Il mio sesto senso mi diceva di fare attenzione. Ma in quei momenti non prevale la razionalità. Abbiamo nutrito Claudia e Gemma, hanno imparato le prime parole in italiano. Ci chiamavano mamma e papà…». Per chi avesse dubbi, bisogna precisare

che questo è il percorso istituzionale. Quello battezzato dal Cai, il centro adozioni internazionali, emanazione diretta del governo italiano. Insomma, stavano facendo il loro dovere. «Abbiamo pagato 10 mila euro per ogni sorella – racconta Gabriella Falena – poi è arrivato il giorno del notaio. Il momento cruciale. Quello in cui si firma un secondo atto di nascita delle bambine. L’intermediario era al nostro fianco. Ma abbiamo dovuto fare in 5 minuti. Il documento era in cirillico, l’interprete nemmeno l’ha tradotto… Ma ci hanno detto che era tutto a posto». Da quel momento deve passare ancore un mese. Se non sorgono elementi contrari, un giudice dichiara inappellabile la sentenza di adozione. «Avremmo voluto restare, ma hanno detto che non era il caso». Siamo ad ottobre. «Dall’Italia provavo a telefonare all’orfanotrofio, ma non mi passavano la responsabile. Continuavamo a prenotare voli per essere pronti a partire…». Poi si è capito. Alexander Anghelidi è scomparso. Le sorelline, in realtà, non erano nemmeno adottabili.

Come altri bambini. Molti sono stati «assegnati» addirittura a genitori diversi, per farli rendere di più. Un’altra mamma mancata, ora racconta: «Mentre ero lì mi hanno offerto di comprare un bambino attraverso canali non ufficiali. Pazzesco! Io e mio marito siamo in cura da uno psicologo». Molti genitori truffati hanno deciso di denunciare l’ente intermediario. «Nessuno ha chiesto scusa, nessuno ha spiegato. Sono arrabbiata e triste». Ma poi una mamma resta sempre una mamma, anche se lo è stata solo per una settimana. E così alla fine di una giornata dolorosa, passata a ricordare, arriva una mail di Gabriella: «Non ti ho detto che i bambini erano tutti disidratati. Non li fanno bere,

se bevono fanno pipì e vanno cambiati. Secondo i medici tedeschi che li hanno visitati, erano malnutriti, i dentini tutti cariati. Non ti ho detto che le torte che abbiamo portato se le mangiavano la direttrice e le inservienti. Non ti ho detto che c’è una tata sola per 30 bambini Che stanno tutto il giorno buttati là, senza fare nulla. Non piangono nemmeno, tanto nessuno li consola».

La responsabile della CAI: “Speriamo ancora nelle vie diplomatiche”

Daniela Bacchetta è la vicepresidente della CAI, la Commissione del Governo italiano per le adozioni internazionali. Risponde al telefono con voce molto gentile, serena, ma subito si incrina. “Di cosa parliamo?”. “Di adozioni in Kirghizistan”. “Ah… dice – davvero un brutto argomento. Siete proprio sicuri di volere affrontare la questione?”.

Ci sono le denunce di trenta coppie italiane. Quello che è successo ha suscitato molto dolore, sconcerto e rabbia. “Lo capisco, ma so anche che ci sono delle moderate speranze di un contatto diplomatico. Stiamo cercando di ricucire. Non vorrei che…”.

Scusi ma parliamo di aspiranti genitori che hanno scoperto che i bambini che gli erano stati assegnati, in realtà, non erano neppure dichiarati adottabili. Bambini assegnati simultaneamente a genitori diversi. “Lo so. Ma altre coppie, per il momento, continuano a riporre fiducia…”

Cosa sapete del caso Kirghizistan?

“Tutto. Siamo a conoscenza di queste procedure non andate a buon fine. Ma non riusciamo a trovare il bandolo della matassa, per capire cosa sia successo esattamente”.

Sostengono di essere stati truffati. L’esito delle procedure di adozione sembra dargli ragione.

“Diciamo così. In queste procedure, verosimilmente, si sono inserite delle collaborazioni che si sono rivelate non professionali, se non addirittura truffaldine. Qualcosa di poco trasparente. Opaco. E’ una situazione molto delicata”.

Il Kirghizistan arriva da una lunga moratoria internazionale proprio a causa di altri problemi sulle adozioni. Non era meglio riprendere i contatti con un piccolo numero di coppie e, soprattutto, con maggior cautela?

“Si, sono d’accordo. E’ una criticità. Abbiamo chiesto spiegazioni all’Ente interessato, cioè Airone. Ma è presto per trarre delle conclusioni”.

Quante adozioni internazionali vanno a buon fine ogni anno?

“Nel 2012 sono state 40.000. Quest’anno saranno un po’ meno, perché alcuni Paesi, come la Colombia hanno avuto problemi. Ma posso dire che fin’ora non c’era mai capitato un caso come il Kirghizistan”.

Perché è ancora così difficile adottare un bambino?

“So bene che è un percorso faticoso. Ma il 70% delle nostre coppie ottiene il decreto di idoneità entro un anno. Il problema è nelle liste d’attesa dei Paesi Esteri. Certo, si può lavorare di più con le relazioni diplomatiche, ma poi non dipende da noi…”.