La famiglia adottiva è un’alleanza gravida di promessa di vita

Dopo la celebrazione del rito di Benedizione delle adozioni a Cervia, Don Maurizio Chiodi – docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – ha illustrato le novità del rito.

Il rito della benedizione come è cambiato rispetto alle precedenti celebrazioni?
Il rito rispetto la celebrazione di Roma ha avuto alcune trasformazioni, che per un verso sono state delle aggiunte e per un altro delle sottrazioni.E’ stato aggiunto nella parte centrale del rito il ricordo del matrimonio per sottolineare che l’accoglienza di un figlio è evento sorprendente che accade in una relazione di alleanza.Prima di pronunciare la formula dell’adozione in nome di Gesù, i coniugi fanno memoria del reciproco amore; entro questa alleanza, infatti, essi hanno desiderato e accolto il figlio.

Qual è stata quindi la prima trasformazione?
Nell’adozione in nome di Gesù la formula è stata semplificata, acquisendo una struttura forse meno rispondente alla spiritualità di AiBi, ma più universale dal punto di vista delle fede cristiana.
Altra trasformazione?
Il senso delle preghiera di benedizione che ora avviene in due momenti.
Il primo momento è la preghiera di benedizione invocata dai genitori. La formula è rimasta fondamentalmente la stessa di quella di Roma, ma il rito nuovo è seguito da una benedizione del ministro ordinato. Questa successione conferisce alla benedizione dei genitori il significato di una invocazione di benedizione cui la benedizione del celebrante risponde dichiarando la benedizione stessa di Dio.


E l’ultima?

Sono stati tolti alcuni segni come l’aspersione con l’acqua santa e l’accensione della candela che richiamavano il Battesimo, rischiando una confusione di significati.

Questa evoluzione del rito da cosa nasce?
E’ stato il frutto di un lavoro di équipe da parte di un gruppo di lavoro di AiBi e di personalità quali Don Luigi Girardi – Preside dell’Istituto di Liturgia Pastorale Santa Giustina di Padova – e Paolo Tomatis – referente dell’Ufficio Liturgico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana -.

Cosa ha acquisito il rito oggi?

Incisività e sobrietà, che aiutano a coniugare l’atto liturgico con l’intensità degli affetti e la pregnanza della vita.

Questa vostra riflessione continuerà?

Nei lavori volti alla ricerca di trovare la forma del rito è diventata molto chiara la necessità di articolarlo in quattro differenti forme: con celebrazione eucaristica, senza celebrazione eucaristica, durante il battesimo, dopo il battesimo. Rimane l’intuizione di fondo di un rito di benedizione delle adozioni come atto ecclesiale, liturgico, pubblico grazie al quale l’adozione come atto civile e scelta umana acquista visibilità nella comunità cristiana.

Perché è necessaria questa visibilità?
Perché conferisce riconoscimento all’adozione e lo libera da una tentazione di riduzione privata e intimistica, relegata al puro ambito familiare.
Questo rito ha valenza pastorale di non poco conto. Dovrebbe diventare una buona prassi pastorale. E’ possibile celebrarlo in gruppi come abbiamo fatto noi, ma sarebbe importante che fosse celebrato nelle comunità parrocchiali, diventando occasione per una maggiore attenzione nella Chiesa per l’accoglienza adottiva.

Una sorta di testimonianza quindi?
Sì, la coraggiosa scelta delle famiglie che adottano deve essere maggiormente valorizzata nella comunità cristiana. Un rito di benedizione sottolinea come la presenza di queste famiglie non sia un peso che si aggiunge alle molte attività che oberano la nostra pratica pastorale, ma occasione preziosa per riconoscere che la famiglia è soggetto attivo di testimonianza e annuncio della fede.
La famiglia adottiva è un’ alleanza gravida di promessa di vita.