La lettera di Stefan: “Cari genitori vado in adozione”

Uscire mascherati a carnevale, che sballo per i piccoli. Ma non per uno. Per Stefan e la sua infanzia abusata. Nessun divertimento fare Dragon Ball o Goldrake per lui. Che a soli dieci anni si sentiva già «un mostro», un essere indesiderabile per qua­lunque famiglia, e che una maschera di carnevale chiedeva, per favore, balbettando, di poterla indossare le volte che doveva allontanarsi dalla comunità terapeutica che lo aveva accolto simulacro di quello che dovrebbe essere un bambino, sbattuto com’era da quando di anni ne aveva sei e mezzo fra il freddo dell’elemosina ai semafori e postacci pieni del sudicio di cui sono capaci certi adulti sui minori.

«Cari genitori, vi mando questa lettera per dirvi che vado in adozione e che mi avete fatto cose che a un bambino non bisogna fare». Ci ha messo quattro anni, Stefan, che oggi ne ha 13, per riuscire a parlare degli abusi cui lo costringevano il padre e la madre, Vasile Caldararu e Floraea Pomana, i due rom di Triboniano che lo rapirono dalla comunità nel 2005, l’anno dopo che un poliziotto lo trovò a un semaforo vestito da femmina, e il suo nome finì sui giornali. Ieri la nona sezione penale del Tribunale ha motivato la sentenza che li condanna a 18 anni di reclusione, 150mila euro di multa e l’espulsione dall’Italia a fine pena: sfruttamento della prostituzione minorile aggravato dal fatto di essere genitori della vittima, minore di 10 anni, e dall’abuso di autorità. Sono le parole precise che non raccontano però gli incubi di Stefan, i suoi ricordi di quella «capanna dove le persone facevano sesso », dove il papà lo accompagnava per fare «giochi che non gli piacevano con adulti sconosciuti », dopo che la mamma «gli metteva lo smalto sulle unghie».

Di quella madre che, hanno accertato i giudici, «divideva con il coniuge i proventi dello sfruttamento sessuale del figlio», Stefan ha scritto una volta sul diario «avrei voluto che mi proteggesse, come fanno tutte le mamme».

Oggi Stefan sta cercando, con l’aiuto degli psicologi, di arrampicarsi fuori da quegli anni di «galera», di pianti disperati, di «coccole che fanno male». Solo dopo aver saputo che verrà adottato ha avuto il coraggio di scrivere ai genitori. Con il suo balbettio, un giorno spiegò agli assistenti sociali di aver paura, com’è tipico dei bambini abusati, di rovinare la famiglia in cui si fosse inserito. Oggi cerca di vincere l’ansia e l’agorafobia (ma in questi giorni, piccolo Stefan, mettila pure la maschera di carnevale). Oggi sogna la famiglia «che lo accudirà e che – scrive – gli farà fare molte esperienze (come sciare e nuotare)». Le esperienze che non fanno tutti i bambini.

(Fonte: Avvenire del 3/3/2011)