La vittoria agli Europei e l’importanza del sapere perdere

Vincere gli Europei non è facile. Ma saper perdere, a volte, è ancora più complicato. Il brutto esempio degli inglesi e le belle parole, invece, di Luis Enrique

Negli occhi di tutti gli appassionati e di tutti gli italiani, ancora brillano le immagini di Wembley, il mitico stadio inglese dove la nazionale di Roberto Mancini, in barba ai pronostici di inizio torneo (quasi tutti i Bookmakers pagavano una vittoria dell’Italia 9 – 10 volte la posta, contro le 6 delle favorite Francia e Inghilterra), si è laureata campione d’Europa.

Vittoria agli Europei: la forza del gruppo

Una parabola meravigliosa, cominciata raccogliendo i cocci di uno dei punti più bassi degli azzurri del calcio, la mancata qualificazione ai mondiali 2018, e costruita mattone dopo mattone con una serie di risultati utili consecutivi da record.
Ma la vera vittoria, a detta di tutti, è stata la costruzione del gruppo che si è cementato intorno alla figura del CT e del suo staff: l’Italia ancora una volta (successe anche ai vittoriosi mondiali del 2006) non aveva tra le sue fila un campione da prima pagina e, a dirla tutta, diversi giocatori non hanno nemmeno giocato come titolari inamovibili durante l’anno nelle rispettive squadre di club. Eppure, la vittoria dell’Europeo è stata più che meritata, ed è arrivata con la forza del collettivo, mettendo in pratica quello “spirito di squadra” di cui tanto si parla, spesso a sproposito, ma che se ben interpretato e perseguito davvero può fare la differenza.

Sono tanti gli indizi di tutto questo, a partire dall’ormai iconico abbraccio tra Mancini e Vialli, condito dalle lacrime di gioia della vittoria: un gesto di amicizia vera, nata decenni fa da compagni di squadra e intensificatasi oggi, in Nazionale, anche attraverso le difficoltà affrontate da Vialli nella sua lotta contro il cancro.
Ma emblematica è stata anche la presenza di Spinazzola, protagonista nelle prime gare del torneo, infortunatosi gravemente, ma presente, con le stampelle, a pochi giorni dall’operazione per condividere la gioia di un gruppo che ha davvero saputo trasmettere agli italiani il senso di un’unità e di un’amicizia più che mai simbolica e significativa dopo i lunghi mesi e le difficoltà terribili della pandemia.

La vittoria agli Europei e la difficoltà di saper perdere

Alla luce di tutto questo, stride ancora di più l’atteggiamento dei giocatori inglesi al momento della premiazione, quando, un secondo dopo aver ricevuto la medagli del secondo posto, quasi tutti se la sono tolta prima ancora di uscire dall’inquadratura stretta della telecamera. D’altra parte, anche il pubblico aveva in abbondanza già lasciato gli spalti, senza mostrare nemmeno l’ombra di quel fair play inglese che tanto spesso si decanta ma che questa volta è apparso come non mai una frase fatta.

Ben diverso, per esempio, è stato l’atteggiamento di Luis Enrique dopo la sconfitta in semifinale, quando ammise addirittura che avrebbe tifato per l’Italia in finale, complimentandosi con i suoi per la partita, oggettivamente giocata meglio degli italiani per lunghi tratti, ma anche riconoscendo i meriti degli avversari. E, soprattutto, lanciando un segnale che giustamente l’Osservatore Romano riporta testualmente come esempio di grande sportività e levatura morale: “La sconfitta fa parte dello sport, del calcio, della vita. Bisogna imparare a gestirla. E devi essere di esempio per i bambini piccoli: quando perdi non devi piangere ma rialzarti”! Come ha fatto la nazionale di calcio italiana in questi ultimi tre anni. Raccogliendone i frutti.