Lampedusa: eccoli i minori non accompagnati, con le magliette a maniche corte, gli infradito ai piedi e… i loro drammi

africabimbo 350Chi come noi, opera a Lampedusa, è pienamente consapevole che in questo piccolo frammento di terra del mar Mediterraneo, esistono due porte.

La prima, quella di cui tutti parlano, fitta di burocrazia, di promesse, di leggi, di obblighi da rispettare  e la seconda porta, quella del retro per intenderci. È la porta che viene aperta dai lampedusani, una porta accogliente, rispettosa delle diversità, amica e madre generosa, e’ la porta del retro, “il buco” nel fil di ferro, da dove escono ogni giorno centinaia di migranti, obbligati a rimanere all’interno del Centro di Primo Soccorso e Assistenza (CPSA).

No, per carità, non escono dalla porta principale, non si può, è da fuori legge, devono necessariamente rischiare la vita scalando la collinetta, per giungere in centro. E una volta in centro, passeggiano tranquillamente, chiacchierano con i lampedusani, si riposano all’interno delle loro case, gustano il calore di famiglia, si riscaldano bevendo un the caldo al bar.

Ma intendiamoci, dalla porta centrale, non escono i minori stranieri non accompagnati, loro non esistono, non ci sono.

Eppure stamattina sul corso li abbiamo incontrati, erano in 10, il più grande di 16 anni, il più piccolo di 12 anni.

Ci sorridono, hanno freddo. Hanno addosso una maglietta di cotone con le maniche corte e le infradito ai piedi.

Ci sorridono. A qualcuno manca qualche dente, è caduto, ricrescerà.

Ci dicono che sono in 25 dentro il CPSA, sono giunti a Lampedusa da soli, tutti nello stesso barcone, di fine ottobre.

Spieghiamo loro il nostro lavoro. Ci sorridono, hanno negli occhi la speranza che qualcuno li possa aiutare.

Tra di loro, un ragazzo di 23 anni, occhioni tristi.

Ci spiega che è un superstite della tragedia del 3 ottobre, lo chiameremo Omar.

È partito a maggio dall’Eritrea, con una promessa alla sua famiglia: appena arrivo in Italia, fate partire mio fratello, il più  piccolo della famiglia, non deve vivere più qui.

Omar affronta mesi di viaggio, fino a quando raccolti 3500 dollari per pagarsi la traversata, salta sulla barca, verso la libertà.

Ma prima di partire, chiama casa e ricorda alla madre la promessa, suo fratello lo deve raggiungere tra una settimana.

Il viaggio di Omar è il viaggio della morte, mentre piange ci racconta di aver nuotato per 4 ore di seguito, sfinito, tra i cadaveri dei suoi amici. Omar raggiunge Lampedusa e dopo una settimana arriva il fratello di 10 anni.

Si ritrovano, vivono insieme all’interno del CPSA , dichiarano di essere fratelli e chi li ha conosciuti conferma che erano inseparabili.

Fino ad una triste mattina, quando per un motivo ancora oggi oscuro, il piccolo viene allontanato dal centro e inviato in una comunità siciliana. Diviso dall’ unico legame affettivo che come un’ancora di salvezza dava coraggio ad entrambi i fratelli.

Qualcuno ha detto che non erano “fratelli di sangue” . Come  se fosse una giustificazione. Qualcuno sostiene che Omar e suo fratello non sono mai esistiti.

Già è vero, sono venuti fuori dalla porte del retro, quella porta scomoda di cui tutti sanno ma nessuno ne parla.

Dalla nostra inviata a Lampedusa, Dinah Caminiti