Mamma, papà: perché mi hanno dato in adozione? Domande, paure e fantasticherie dei figli adottivi

Crescere, per un figlio adottivo, comporta anche la costruzione dell’identità dei suoi genitori, sia dei genitori adottivi, sia di quelli biologici, e comporta la conoscenza della sua storia di adozione. Un articolo di Joni Mantell offre un ragguaglio sulle più frequenti fantasie dei figli adottivi, nel rispetto della delicatezza della loro situazione e del fatto che farsi certe domande è normale, e legittimo.

Tra i 6 e 7 anni, i bambini acquistano maggiore capacità e complessità di pensiero e iniziano ad afferrare che cosa significa l’adozione. Tra gli 8 e i 10 anni, entrano in possesso di un sufficiente numero di fatti e racconti per capire che i loro genitori biologici sono persone reali che vivono là fuori, da qualche parte; spesso incominciano a chiedersi chi siano, e perché li abbiano lasciati in adozione.

L’articolo apparso sul sito web Adoptive Families, con la firma di Joni Mantell, raccoglie le esperienze di alcuni bambini adottati nei paesi anglosassoni e alcuni dei piccoli, grandi turbamenti – paure, bizzarre fantasticherie, nuovi timori interni alla famiglia adottiva – che affrontano nella costruzione dell’identità dei loro genitori biologici e del loro processo di adozione. L’articolo formula infine specifiche proposte di aiuto psicologico, per l’utilità di mamme e papà adottivi.

Talvolta le bambine fantasticano che la loro madre biologica fosse una principessa, o una star. Michelle, figlia adottiva di 9 anni, sognava che a darle i natali fosse stata Jennifer Lopez. Jason, di 10 anni, amante dei libri e figlio adottivo di una mamma e un papà sportivi, aveva iniziato a immaginare che i suoi genitori biologici fossero «due intelligentissimi professori». Le fantasie su genitori diversi funzionano talvolta per desiderio di compensare alcuni stress, talvolta come percorso di costruzione della propria autostima: ciò che conta, è che i bambini hanno bisogno di sapere che possono condividere ciò che provano. «La mamma o il papà adottivi possono aiutarli – commenta l’articolo –, comunicando loro che le loro curiosità sono normali».

Nonostante ogni cautela educativa e ogni buon linguaggio politically correct, ciò che un figlio adottivo può provare, nel profondo, è che è stato dato via in adozione. Così, nella ricerca di comprendere e padroneggiare che cosa gli sia successo, il bambino può sviluppare un senso di colpa o addossarlo a qualcun altro. Altri figli possono iniziare a percepire il nuovo legame adottivo come una relazione tenue, sottoposta a qualsiasi fragilità. È il caso della piccola Grace, 7 anni, che si sforzava di preferire al gioco i compiti e i lavoretti domestici, nella paura di venire abbandonata se non fosse stata una figlia super-brava!

O il caso di Robert, che, compiuti gli otto anni, ha iniziato a giocare incessantemente a nascondino, per il solo piacere di venire trovato dalla mamma. La ragione di questo continuo giocare era un timore, che voleva combattere, di essere destinato a passare di adozione in adozione e di famiglia in famiglia, «come nei vagoni di un treno»: voleva essere sicuro di trovarsi «nell’ultimo vagone», dal quale non sarebbe più uscito!

Infine Ashley, bimba di 6 anni, aveva iniziato a chiedere alla mamma: «Devi dirmi sempre quando esci di casa». Ashley aveva sviluppato la paura di essere abbandonata ancora: «Non aveva iniziato a comprendere che la sua mamma biologica e la sua mamma adottiva erano due persone distinte, e che non tutte le madri danno i figli in adozione», commenta l’articolo.

Come aiutarli? Cinque consigli:

–          Condividere con loro informazioni, adeguate alla loro età, sui genitori biologici e sulla storia della loro adozione;

–          Dimostrare che tutta la famiglia se ne occupa: spesso le persone che si vogliono bene si arrabbiano tra loro, ma rimangono sempre uniti tra di loro;

–          Confidarsi con il bimbo e ascoltare le sue confidenze. Alcune emozioni che prova, le più forti e le più complesse, sono da accettare;

–          Aspettare e capire che cosa significano per loro le fantasticherie. Un genitore non deve correggere tutte le fantasticherie, ma solo quelle che procurano stress;

–          Dare loro il tempo di elaborare e crescere. Ascoltarli, essere a disposizione: i bambini arriveranno al dominio su ciò che provano, se gli si darà tempo e luogo per elaborarlo.