Il dramma dei MISNA: 4.224 nel 2020. Dopo il trauma delle carceri libiche, quello del lockdown

L’Italia è ancora un Paese accogliente? Forse qualche riflessione andrebbe fatta

Ma l’Italia è ancora un Paese accogliente con i MISNA (minori stranieri non accompagnati)? Forse qualche riflessione andrebbe fatta. La pandemia da Covid-19 ha infatti avuto un effetto devastante sull’incremento di MISNA che attraversano il Mediterraneo nella speranza di raggiungere, dopo aver lasciato l’Africa, continente natio, le coste italiane ed europee. A fare un quadro della situazione un articolo di Giansandro Merli, recentemente pubblicato su Il Manifesto. “Si arrampicano su autobus strapieni alle porte del Sahara, salgono su gommoni pericolanti lungo le coste del Mediterraneo, si aggrappano sotto ai camion nei porti dell’Adriatico. Viaggiano con gli altri migranti, ma sono diversi: sono più piccoli“, scrive il giornalista a proposito dei MISNA. Che, nel 2020, hanno superato le 4mila unità.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2020 sono infatti approdati in Italia 4.224 minori non accompagnati, una cifra che rappresenta più del doppio dei dati del 2019 (1.680) e che comunque superà quelli, già elevati, del 2018 (3.536). Considerando che l’anno non è ancora terminato è possibile che aumentino ancora. Quanti sono quelli attualmente in Italia? Al 31 ottobre, secondo il Ministero del Lavoro, in totale erano 6.227, la maggior parte maschi (il 96,5%), per lo più vicini alla maggiore età, dato che l’88% ha tra i 16 e i 17 anni. I Paesi da cui provengono sono prevalentemente il Bangladesh, l’Albania e la Tunisia per i maschi, sempre l’Albania, la Costa d’Avorio e la Nigeria per le femmine che, mediamente, sono anche più giovani.

MISNA: dalle carceri libiche al lockdown in Italia. Il trauma che si ripete

Questi ragazzi, superato il trauma del viaggio della speranza attraverso il mare, nel 2020, una volta arrivati in Italia, hanno dovuto fare i conti con il duro lockdown che li ha confinati nelle strutture di accoglienza iper-affollate. “Per quelli che si trovano in un Paese straniero senza il sostegno quotidiano dei genitori questi sentimenti pesano come macigni”, scrive Merli. “Restare chiusi per tanto tempo ha fatto riemergere fenomeni di disturbo post-traumatico. Molti, con le dovute differenze, hanno rivissuto il sentimento della prigionia libica”, ha raccontato allo stesso giornalista la dottoressa Maria Chiara Monti, etnopsicologa del Centro Penc, che segue quasi 40 minori stranieri a Palermo. “L’incertezza esistenziale – prosegue l’articolo – ha provocato alterazioni del comportamento e perfino reazioni psicosomatiche. Tra i neomaggiorenni che erano riusciti a trovare un lavoro, il ritorno della disoccupazione e l’interruzione delle rimesse verso la famiglia hanno alimentato frustrazione personale e depressione. L’autostima appena riconquistata si è infranta contro un nuovo muro”. Al dramma dell’emigrazione si è aggiunto il dramma della pandemia.

Per i cosiddetti care leaver, cioè i giovani che si avvicinano alla maggiore età, a questi problemi se ne sono aggiunti altri. “l percorso di accoglienza – spiega infatti ancora l’articolo de Il Manifestotermina tra 18 e i 21 anni. Alla fine i ragazzi dovrebbero aver imparato l’italiano, ottenuto un vero permesso di soggiorno e magari trovato un lavoro. Il Covid è andato a sbattere su tutti questi fronti come uno tsunami”. “I neomaggiorenni stanno vivendo un periodo difficile. Per convertire il documento in un permesso per lavoro serve un contratto, ma le assunzioni sono ferme. Soprattutto dove questi ragazzi sono generalmente impiegati: ristoranti, alberghi, bar, settore turistico – ha affermato Gianluca Dicandia, avvocato di CivicoZero OnlusChi invece non ha un impiego e deve chiedere il permesso per attesa occupazione entra in una giungla”.

Che prospettive offre, a questi giovani partiti per una vita migliore, l’Italia? Al momento quasi nessuna, verrebbe da rispondere. Ma questa non è accoglienza.