Mozambico: in cerca di acqua trova una famiglia e adotta 4 bambini

A volte sono incontri fulminanti quelli che ti cambiano la vita. Altre volte, invece, sono viaggi lenti alla fine dei quali ti ritrovi diverso. Lo sa bene Mario Samaja, 49 anni, partito da Milano per un breve progetto in Mozambico e rimasto in quella terra dove al suo lavoro frappone spesso l’attività di volontariato.

“Mi sono interessato a Maputo nel 1987, in servizio civile. Cercavo falde acquifere per dissetare i profughi in tempo di guerra – racconta Mario via Skype -, pian piano ho messo radici e quando avrei dovuto tornare, sono invece restato là”.

In primavera conobbe una ragazza mozambicana medico chirurgo e con lei visitò l’”Infantario 1° de Maio”: “Non posso dimenticare quel che ho visto varcando la soglia”, racconta ancora coinvolto dall’emozione. Capire perché non è difficile.

Nel centro di accoglienza ci sarebbero 50 posti letto ma gli “ospiti” sono sempre molti di più: bambini abbandonati, orfani, malati o maltrattati dalle famiglie.

E nonostante l’impegno del governo che gestisce la struttura “c’è carenza di tutto, dal cibo alle medicine, dai materassi ai pannolini”. Eppure, fuori di lì è peggio.

Le strade sono piene di bambini che dovrebbero andare a  scuola, giocare, avere tempo per riposare e giocare nei prati, invece lavorano notte e giorno: negli orti, nelle discariche, per la strada, ovunque ci sia modo di raggranellare qualche soldo per mangiare.

All’”Infantario” Mario, con la ragazza mozambicana, che nel frattempo era diventata sua moglie, ha incrociato due gemelle con l’aria vispa e la testa rasata a zero. Poi un bambino che gli ha cacciato in tasca il suo unico giocattolo. E infine un bebè cardiopatico che lo fissava con occhi neri e profondi come pozzi. Mario e Monica li hanno accolti tutti e quattro a casa: sono diventati i loro figli.

(Fonte: Corriere della Sera del 24/01/2011)