Quale sarà il criterio del discernimento nel giorno del giudizio?

Oggi comincia l’ultima settimana dell’anno liturgico. La prossima domenica inizierà il tempo dell’Avvento, l’attesa del Signore che viene. Invece la Parola di Dio di quest’ultima domenica, dedicata a Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo, ci presenta la scena gloriosa e drammatica del Signore che verrà alla fine dei tempi.
La fede cristiana è come un grande arco, teso tra questi due estremi: il Signore che è venuto, e che viene, e il Signore che verrà.
È Lui stesso che, nella Parola di oggi, ci ha detto che cosa accadrà quando egli «verrà – di nuovo – nella sua gloria», per sedere con «tutti gli angeli … sul trono della sua gloria». 
Per raccontarci che cosa accadrà in quel giorno, Gesù riprende un’immagine cara al profeta Ezechiele. L’abbiamo ascoltato nella prima lettura.

Dio parla di sé, nelle parole del profeta, attraverso la figura del pastore: un pastore che «sta in mezzo alle sue pecore», le riconduce dalla dispersione, le conduce al pascolo, le fa riposare, va in cerca della «pecora perduta» e riconduce «quella smarrita», fascia «quella ferita», cura «quella malata», si prende cura di quella «grassa» e di quella «forte».

Alla fine, dice il profeta, al termine di questa straordinaria cura, benevolenza, custodia, il ‘pastore’ giudicherà «fra pecora e pecora, fra montoni e capri».
È l’annuncio di un giudizio, di un ‘discernimento’, di una scelta.
Dopo tante cure, dopo un immenso amore, viene il tempo della scelta, alla fine. E sarà la fine.

Ma questa fine sarà l’inizio di un tempo nuovo che non sarà la continuazione di questo tempo. Sarà un tempo senza fine, un tempo diverso dallo scorrere di questo nostro tempo, che noi possiamo misurare con le lancette dell’orologio. Sarà un tempo eterno.

Questo tempo sarà come la fioritura, il venire all’evidenza, di ciò che è accaduto in questo nostro tempo, il tempo drammatico della storia.

Il “giudizio” di Dio non sarà una decisione arbitraria, casuale o dispotica. Non sarà un giudizio di cui dobbiamo avere paura o da cui dobbiamo fuggire.  Sarà un giudizio di verità, un giudizio luminoso, un giudizio che getterà un fascio di luce sulla nostra vita, sul nostro tempo presente.

Nessuno potrà sottrarsi a questo giudizio: «Davanti a Lui – il Figlio dell’uomo, Gesù – verranno radunati tutti i popoli».

Per questo, Gesù è Signore dell’Universo, il Signore della storia, il Signore del tempo. Tutti saremo davanti a Lui, il Figlio dell’Uomo, uomo come noi, il Crocifisso Risorto.

Non dobbiamo dimenticare che Colui che siede sul trono, per discernere e giudicare, è uno che come noi ha camminato sulle strade polverose della vita, è uno che ha amato, ha pianto, ha gioito, ha sofferto, ha curato, ha accarezzato le nostre ferite, ha fasciato le nostre infermità, ha donato tutto di sé proprio per coloro che lo hanno rifiutato, noi tutti.
Il giorno del giudizio, il giorno della fine, non sarà ‘il giorno della vendetta’, ma il giorno in cui splenderà ai nostri occhi la verità profonda della nostra vita.

Quale sarà il criterio del discernimento?

Sono le parole del re, le parole del pastore, le parole del Figlio dell’Uomo che ci rivelano tutto questo. Ai «benedetti del Padre mio», Gesù dirà: «Venite … ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo».

Sono parole che ci rivelano il sogno di Dio per tutta l’umanità, per l’intero nostro mondo, per questo nostro meraviglioso universo, che è l’immensa casa nella quale abitiamo!

Il ‘desiderio’ di Dio è che tutti gli uomini siano salvi, che non ci siano pecore e capre, ma che tutti siamo sue pecore: «gregge del tuo pascolo», come dice il salmo 80 (79), al versetto 13.

Il desiderio, il volere di Dio è che ogni uomo partecipi della sua eredità, che siamo in comunione con Lui.

In questo noi troveremo la nostra gioia, la nostra pace, il nostro ‘riposo’ e cioè il compimento felice di ogni nostro desiderio.

Ma qual è la condizione per partecipare alla gioia di Dio?

Gesù dice, e quante volte lo abbiamo sentito: «perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…»!

Con queste parole, davvero belle e sorprendenti, Gesù descrive sei ‘azioni’, sei gesti, che poi con un’aggiunta – quella di seppellire i defunti, di tradizione biblica anch’essa – sono diventate le cosiddette ‘opere di misericordia corporale’. A queste abbiamo poi aggiunto le ‘opere di misericordia spirituale’.

In realtà, anche queste sei (o sette) opere di misericordia corporale sono molto spirituali, così come quelle spirituali sono molto concrete, dunque ‘corporali.’

D’altronde il numero sette indica una pienezza, una totalità. Sette significa tutte le opere, i gesti che la vita nella sua inestimabile ricchezza ci ‘spiega’ davanti, perché noi possiamo godere di questo bene che ci è donato.

Notate che queste opere indicate da Gesù, sono tutte gesti di relazione con l’altro.

Questa ‘relazione’ passa attraverso i gesti più semplici e più profondi della vita: il cibo e l’acqua. Il cibo dato e il cibo rifiutato, la sete saziata o la sete non soddisfatta: questi sono il criterio per partecipare alla ‘vita eterna’.

Ogni volta che hai preparato il cibo per qualcuno, i tuoi figli, i tuoi amici, i parenti, i tuoi ospiti, o cucinando o lavorando perché qualcuno possa comprare e cucinare quel cibo, tu stai preparando la tua eternità.

Dopo questi gesti così ordinari, Gesù elenca quattro situazioni di povertà, di ‘bisogno’, quattro situazioni difficili, tra le tante che possono capitare nella vita: essere «straniero» ed estraneo in una terra che non è la tua, essere «nudo», senza vesti che ti proteggano dal freddo, dalla pioggia, dalla neve o dal sole che brucia; essere «malato», sofferente, ‘toccato’ dalla malattia che ti ferisce, ti preoccupa, ti fa sentire tutta la tua fragilità, la tua vulnerabilità, la tua possibilità di morire; essere ‘carcerato’ e dunque uno che ha fatto del male agli altri e sta scontando la sua pena, giustamente, privato della libertà perché lui stesso ne ha privato qualcun altro … e così via.

Queste situazioni descrivono bene tutto il dramma della nostra vita.

Come rispondiamo noi all’altro che ha fame, sete, è straniero, è nudo, è malato, è carcerato?

Ma la cosa più stupefacente di questo discorso di Gesù è un’altra.

In effetti, proprio, i giusti» sono i primi ad essere stupefatti: «quando mai ti abbiamo visto…?». “Abbiamo visto un altro, gli altri, ma non Te. Te, non ti abbiamo mai visto”.

Le parole di Gesù rivelano la verità delle nostre scelte. Una verità stupefacente, che i giusti stessi non sapevano, non potevano sapere. Una verità, la cui profondità sarà una sorpresa anche per noi. Speriamo, almeno!

“«L’avete fatto a me», ma proprio a me – dice Gesù – quando l’«avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli»”.

Nell’altro, accolto per se stesso, per quello che lui è, lì c’è Gesù.

Servire l’altro è servire Gesù.

Questo sarà il criterio, stupefacente, di Gesù.

A questo Gesù ci chiama: servire gli uni gli altri.

Essere testimoni gli uni gli altri di Lui, che si è fatto nostro servo, per amore!

Lui stesso, alla fine, si farà ‘servo della nostra gioia’!

Noi a questo siamo chiamati. Non certo al «fuoco eterno», perché questo è «preparato per il diavolo e per i suoi angeli».

Speriamo che nessuno di noi perda quello che Dio ha preparato per noi. Questo dipende dalla nostra responsabilità, dalla nostra risposta al suo dono di grazia, gli uni per, e con, gli altri!

don Maurizio