Pagamenti in nero: perché la CAI non obbliga gli enti a certificare i bilanci?

Salve Amici dei Bambini,

sono una lettrice assidua del vostro sito, aspirante madre adottiva. Ho letto con interesse la notizia del protocollo firmato dalla Commissione per le adozioni internazionali con l’arma dei Carabinieri. Tuttavia ho un dubbio: se l’obiettivo fosse davvero la trasparenza, perché la Cai non obbliga semplicemente gli enti autorizzati a certificare i bilanci?   

Grazie per la risposta,

Michela

CRINO-21Buongiorno Michela,

a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca… diceva qualcuno.  Volendo applicare questo detto alla sua domanda, provo a risponderle.

Stando all’ultima revisione delle Tabelle costi, che risale ormai al 2006 e neppure si capisce bene quanto e come queste tabelle siano in vigore, in realtà la certificazione di bilancio, sia pure in alternativa al possesso della personalità giuridica, è già un obbligo per gli enti di dimensioni nazionali.

Dieci anni fa, ai tempi appunto della revisione di queste tabelle, si era dunque già ampiamente discusso del possibile obbligo della certificazione di bilancio per gli Enti autorizzati. Si era poi optato, come d’altronde accade spesso in Italia, per un obbligo sì, ma light (solo per gli enti nazionali senza personalità giuridica, ovvero pochissimi), perché si era ritenuto che richiedere anche la certificazione di bilancio potesse essere un obbligo eccessivamente gravoso.

 

Che la certificazione di bilancio obbligatoria sia uno strumento che può ridurre l’opacità economica anche delle adozioni internazionali è dunque noto, tanto che se ne parla da almeno dieci anni.

Alla piena applicazione di questo strumento ho sempre però avuto modo di constatare l’opposizione di tre motivi di fondo.

Per un ente autorizzato piccolo, ed è il caso della maggioranza degli enti, la certificazione è senza dubbio un impegno gravoso, addirittura troppo gravoso rispetto alla sua utilità.

Gli Enti autorizzati sono organizzazioni senza scopo di lucro, quasi tutti sono anche onlus. I versamenti ad essi fatti dalle coppie non sono ancora oggi neppure fiscalmente definiti e vengono considerati a volte come donazioni, a volte come rimborsi spese, più raramente come corrispettivi. Tale incertezza fiscale ha sempre aiutato a considerare non così chiaramente irregolari i pagamenti richiesti in contanti in Italia o all’estero.

Infine, un minimo di tolleranza sui pagamenti in nero è più di aiuto che di ostacolo, anzi semplifica e velocizza. Quindi, fatto salvo il principio del divieto formale di tali pagamenti, è poi auspicabile non insistere più di tanto su un argomento del genere.

 

Lascio a lei la valutazione di queste motivazioni,

 

Cordiali saluti,

Antonio Crinò

Direttore generale di Ai.Bi