Adozione. Perché le coppie hanno paura di adottare un bambino grande? Lo spiega la psicologa

Spesso si teme che il bimbo abbia una sua personalità definita, che non gli permetta di adattarsi al nucleo familiare nel quale viene inserito

Perché le coppie hanno paura di adottare un bambino “grande”? Le coppie hanno paura che il bambino “grande” abbia fatto una lunga esperienza di abbandono e di istituzionalizzazione ed eventualmente di rifiuto da parte di coppie che hanno provato ad accoglierlo e che poi lo hanno riportato in istituto. Tale esperienza nelle coppie innesca la paura che il bambino abbia stratificato una corazza difensiva troppo spessa per essere scalfita e contattare la sua parte emozionale, che gli riconoscono di avere.

Le coppie hanno paura che il bambino “grande” abbia una sua personalità definita, che non gli permette di adattarsi al nucleo familiare nel quale viene inserito, ma di autogestirsi, mostrando refrattarietà alle regole.
Una delle paure evidenti che manifestano le coppie fin da subito è la paura che un bambino “grande” possa avere un inserimento scolastico problematico a causa del gap linguistico e nozionistico e che abbia difficoltà a socializzazione con il gruppo classe.

Un bambino “grande’ spaventa le coppie perché nel loro immaginario non hanno neanche il tempo di legarsi al bambino e “fare famiglia”, che subentra la fase del distacco tipica dell’adolescenza e prenda le distanze dalla mamma e dal papà.

Le coppie hanno inoltre paura di dover affrontare i cambiamenti fisici e ormonali legati al passaggio dall’età puberale a quella adolescenziale: la muta vocale, la crescita dei peli, il ciclo mestruale, lo sviluppo del seno… e tutte quelle trasformazioni fisiche che segnano il passaggio dall’infanzia all’età adulta.

Paura di adottare un bambino grande: come superarla?

Come aiutare le coppie ad affrontare e superare questa paura di adottare un bambino grande?

In bambino “grande” è consapevole di quello che sta accadendo intorno a lui, è consapevole di essere stato abbandonato e pertanto è protagonista della scelta di essere adottato, non subisce la decisione delle coppia. Inoltre è stato possibile cominciare a lavorare sul lutto della perdita dei genitori biologici con i tecnici che lo hanno seguito.

L’abbandono non è meno pesante se un bambino è accolto in una famiglia adottiva quando è piccolo e la ferita si allarga via via che passa il tempo. L’abbandono a qualsiasi età è uno strappo, una lacerazione, un trauma.

La coppia sceglie l’adozione di un bambino “grande” deve fare i conti con il vissuto di quest’ultimo, che ha una sua storia, che ha vissuto esperienze dolorose che lo hanno portato ad avere una bassa autostima di sé, le quali vanno accolte e metabolizzate. L’esperienza di rifiuto, prolungata, i probabili tentativi falliti di adozione, hanno radicato in lui la convinzione di non valere niente, per questo non è la scelta di nessuno e di conseguenza ha sviluppato una scarsa fiducia nell’adulto, nella possibilità di stabilire legami e affidarsi a figure stabili di riferimento.

Un bambino “grande”, che ha vissuto molto tempo nel gruppo dei pari, è abituato a cavarsela da solo, per cui fa fatica a cambiare questo stato di cose e il suo impedimento più grande è la paura che se si affida e crea un legame con l’adulto e dunque una dipendenza, quest’ultimo sicuramente ad un certo punto lo abbandonerà, come è sempre stato. Il bambino “grande” metterà quasi subito alla prova la coppia genitoriale, per farla venire allo scoperto nel più breve tempo possibile, testera’ il loro limite per capire se, dando il peggio di sé, i genitori resteranno ancora con lui e solo se troverà accoglienza e rassicurarazione lentamente si sfiderà e si affiderà. Questo processo ha bisogno di tempo e di pazienza, ha bisogno di empatia e ascolto. Il bambino ha bisogno di capire che non è cattivo.

Per quanto riguarda l’inserimento scolastico questo è un falso problema, i bambini istituzionalizzati sono abituati alla socializzazione con il gruppo di pari.

Hanno fatto un percorso scolastico nel loro paese di origine, pertanto hanno già acquisito delle competenze e devono avere il tempo di apprendere la nuova lingua allo scopo di potersi esprimere. Quello di cui non hanno conoscenza è la vita affettiva in famiglia, con i ritmi, gli odori, i sapori e tutto quello che ne consegue nel menage familiare. Un bambino ha bisogno di trovare il suo ruolo e il suo spazio all’interno della famiglia.

La scuola non è la priorità, questa sarà inserita a tempo debito, anche perché quest’ultima ha i suoi ritmi e i suoi tempi, che sono del tutto differenti da quelli familiari. Inoltre la scolarizzazione precoce, in un bambino con scarsa autostima, accrescererebbe le sue paure e il suo stato di inadeguatezza facendolo sentire ancora una volta uno scarto, un rifiuto.

La scuola nell’immaginario di qualunque bambino rappresenta un banco di messa alla prova e ogni fallimento è confuso con un fallimento personale. Difficilmente un bambino riesce a distinguere che un 4 i matematica è riferito alle competenze nella suddetta materia e non si tratta di un lapidario giudizio espresso sulla sua persona.

Paura di adottare un bambino grande. Le cose da sapere

Infine il bambino che arriva in una famiglia che lo adotta ha tre età: cronologica, biologica e affettiva, che divergono tra loro, ma che hanno una costante comune, l’età affettiva è quella meno sviluppata di tutte!
Il bambino “grande” deve recuperare quei buchi affettivi che sono indispensabili alla costruzione della sia personalità, pertanto dovrà regredire a comportamenti e atteggiamenti di un bambino più piccolo. La sua necessità è di creare un legame di attaccamento ai genitori, che gli serve per potersi fidare, ha bisogno di costruire una base sicura. Appare chiaro che prima di creare distanza dalle figure genitoriali deve creare un rapporto solido con loro per poterli introiettare.

Inoltre il cambiamento fisico sarà visto come una tempesta da affrontare, in questa fase dove il bambino è alla ricerca di stabilità e punti fermi. Quello che i genitori possono fare allora, è vivere assieme a lui questa esperienza, aiutandolo a capirsi e in questo modo cominciando a costruire la storia della famiglia.

Lucia Ciaramella

Psicologa e psicoterapeuta – Ai.Bi. – Amici dei Bambini