Adozioni internazionali: “Perché nascondete i dati?” Inspiegabile black-out italiano

caiDal 2014 la Commissione Adozioni Internazionali non fornisce i numeri relativi alle adozioni realizzate in Italia. La giornalista del quotidiano “La Stampa” Carola Frediani ne ha parlato con l’esperto Peter Selman, che da anni elabora statistiche sul tema per conto della Convenzione dell’Aja. Di seguito riportiamo integralmente l’articolo pubblicato sul giornale torinese domenica 13 marzo.

 

“Eh, non mi dica niente: mi mancano proprio i dati dell’Italia”. Così risponde ai telefono il professor Peter Selman, attualmente all’università di Newcastle, ma soprattutto luminare delle adozioni internazionali. Da anni elabora statistiche sul tema per conto della Convenzione dell’Aja che dal 1993 ha definito le procedure per tutelare i bambini adottati in un Paese diverso da quello d’origine. Selman fa vedere alla “Stampa” la bozza di una relazione che ha preparato, ci sono i dati sulle adozioni per 22 Paesi, ma mancano quelli dell’Italia (e di Israele). «Dal 2000, dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja, l’Italia ha prodotto dei rapporti annuali con statistiche molto dettagliate. Le cifre sul 2014 sono state raccolte ma la loro pubblicazione è stata rimandata per ragioni che nessuno sembra capire», dice Selman. Chi dovrebbe pubblicarli, la Commissione per le adozioni internazionali (Cai), tace da due anni, lasciando con un punto interrogativo gli addetti ai lavori. Eppure questi dati sono importanti per monitorare il fenomeno. Nel caso dell’Italia lo sono ancora di più per il peso del nostro Paese nello scenario delle adozioni internazionali. Siamo il secondo Stato al mondo per numero di bambini accolti dopo gli Stati Uniti. A partire dal 2008 abbiamo sorpassato Spagna e Francia, insediandoci dietro gli Usa con 2825 minori arrivati ancora nel 2013. Mentre per il 2014, anno su cui la nostra Commissione non sembra voler sganciare i dati, si stima una cifra intorno a 1800-2000.

Ma l’Italia è interessante anche perché, fino a qualche anno fa, era in controtendenza. Per capirci: le adozioni internazionali, dopo un periodo di crescita, hanno iniziato a diminuire. Dal 2004 al 2011 i Paesi riceventi hanno visto un declino di adozioni di oltre il 50 per cento. L’unico che vedeva una crescita del 18 per cento era l’Italia. Ma anche da noi, dal 2011, i numeri hanno iniziato calare. «A livello globale il calo delle adozioni è dovuto a un insieme di fattori», spiega Selman. «Quello principale è la decisione di vari Paesi d’origine, come la Cina o la Russia, di limitare le adozioni estere (o di favorire quelle locali). Hanno pesato anche alcuni scandali, abusi da parte di famiglie adottive in alcuni Stati, scarsa trasparenza nell’intermediazione. Inoltre è aumentata l’età dei bambini adottabili così come i minori con bisogni speciali. Mentre ha cominciato a diffondersi la pratica della maternità surrogata che alcune coppie hanno scelto in alternativa». Tutto cià ha concorso a diminuire le adozioni internazionali.

L’Italia ha anche un’altra particolarità. «Il più alto numero in Europa di enti accreditati. Solo due di questi 62 enti italiani fanno però parte di un’associazione europea come Euroadopt, che confronta l’operato delle organizzazioni autorizzate all’adozione in diversi Paesi sulla base di standard elevati». In Italia gli enti accreditati dovrebbero essere controllati proprio dalla Cai. Che però, come nota anche il Centro Italiano Aiuti all’Infanzia, associazione tra le più consolidato del settore, non si riunisce dal 2014.