Porto Empedocle: “Su quella barca c’erano mia mamma e mio fratello. Adesso io che faccio?”

bare lampedusaIl progetto “Bambini in alto mare” è in piena operatività. Ai.Bi. ha attivato una task force di emergenza sul posto, tra Agrigento e Porto Empedocle, e iniziato le attività per potere, nel più breve tempo possibile, far partire la Comunità di Pronta Accoglienza per i minori stranieri non accompagnati e per offrire subito spazi e ospitalità alle mamme sole. Si lotta contro il tempo per poter salvare e aiutare i vivi. Ma domenica 13 ottobre, ci è sembrato doveroso rendere omaggio ai morti: 150 bare, arrivate da Lampedusa a Porto Empedocle, a bordo della nave Cassiopea. Era nostro dovere essere presenti e offrire un ricordo e una preghiera alle vittime del terribile naufragio di soli dieci giorni fa. Eravamo lì, sulla banchina, con pochi parenti e amici, per l’ultimo commiato.

Questo il racconto di Dinah, responsabile della sede Ai.Bi. in Sicilia:

“A tutti voi che lavorate per “Bambini in alto mare”, che ci seguite e ci aiutate nel nostro progetto.

Oggi siamo arrivati a Porto Empedocle, sapevamo che sarebbero arrivate le bare insieme ai sopravvissuti. Ci aspettavamo di trovare tanti operatori, invece nulla.

C’era solo un gruppetto di persone che in silenzio, con in mano uno striscione con su scritto “Sangue nostro”, aspettava con calma che il cancello si aprisse.

Dopo circa 2 ore sotto il sole cocente siciliano, il cancello si apre ed entriamo.

Rimaniamo a guardare esterrefatti, stiamo un’altra ora sotto il sole senza che nessuno distribuisca neppure un bicchiere d’acqua ai familiari.

Poi, arriva la nave.

Non avevamo mai visto tante bare insieme.

Non avevamo mai visto tante madri piangere i loro figli.

Non avevamo mai visto tanti figli piangere i loro genitori.

Non avevamo mai visto rispettare le regole in questo modo, non c’erano transenne, solo i poliziotti che facevano da barriera.

Non abbiamo mai visto fino ad oggi e mai avremmo voluto vedere… In mezzo a questo piccolo gruppo vedo un ragazzo,che si allontana, sta piangendo e non vuole farsi vedere. Mi avvicino e mi siedo per terra con lui. Mi dice che su quella barca ci sono la sua mamma e suo fratello. Si dovevano ricongiungere, aveva preso anche casa ad Agrigento. Mi guarda perso e mi chiede: Io adesso che faccio?

Non gli so rispondere…lo abbraccio, si chiama Icaro… Penso che ha perso le sue ali, ha perso la speranza e il futuro.

In questi giorni, non abbiamo visto delinquenti, sfruttatori, ladri… Abbiamo visto solo tanta disperata compostezza.

Grazie a tutti per quello che state facendo, grazie per tutto il sostegno che darete alla nostra missione “Bambini in alto mare“.