Pozzallo, violenze su chi non voleva farsi identificare

migrantiAncora in Sicilia, ancora un centro di accoglienza, ancora maltrattamenti verso i migranti. In questo caso siamo a Pozzallo dove, stando ai racconti degli ospiti del centro, dalla scorsa estate si verificano frequenti pestaggi da parte delle forze di polizia, identificazioni forzate e addirittura la misteriosa sparizione di un profugo eritreo. La denuncia di quanto sarebbe avvenuto in questi mesi è stata raccolta dal deputato del PD Khalid Chaouki, lo stesso che si è autorecluso per qualche giorno nel centro di Lampedusa. Chaouki ha presentato, senza per ora ottenere risposta dal ministro dell’Interno, un’interrogazione parlamentare relativamente proprio ai fatti di Pozzallo.

Nato formalmente per smistare in poche ore i migranti giunti da Lampedusa o sulle coste siciliane, il centro di accoglienza di questo comune in provincia di Ragusa si è “guadagnato” la definizione di “campo dei pestaggi”. “Ci picchiavano con i manganelli” racconta una donna eritrea citata da Chouki, sfuggita alla guerra come quasi tutti gli ospiti del centro, provenienti dal Medio Oriente o dall’Africa. Il motivo dell’uso di tanta violenza è da ricercarsi nel rifiuto da parte di molti migranti di farsi identificare, con conseguente foto segnalazione e rilascio delle impronte. Questo perché il loro obiettivo è quello di raggiungere al più presto altri paesi europei nei quali troverebbero parenti e nuove opportunità.

“C’è un orientamento generale – ricorda Chaouki – che invita la polizia a non forzare l’identificazione”. Ma in molti casi, a Pozzallo, questa forzatura sarebbe avvenuta. “Ho raccolto testimonianze tra diversi profughi siriani – continua il parlamentare PD –: raccontano della prassi secondo cui c’erano minacce o addirittura violenze. Questa è la loro versione, io ho chiesto alle autorità di verificare”.

Il terrore per quanto sarebbe accaduto è ancora nelle parole di alcuni profughi ospitati nel centro. “Sono scoppiati grandi disordini con la polizia – ricorda una donna eritrea –, perché nessuno voleva sottoporsi al foto segnalamento. Io e la mia famiglia abbiamo provato a opporci, ma vedendo la reazione violenta e con due bambini piccoli, abbiamo deciso di farci fare le foto segnaletiche e di farci prendere le impronte”.

Una sua connazionale racconta addirittura di aver perso le tracce del marito proprio in seguito ai disordini scoppiati nel centro, lo scorso 26 settembre. “Ci hanno ordinato di salire su un autobus, senza dirci dove ci avrebbero portato -racconta Y. A.. Chiedevamo e ci rispondevano: non sappiamo. Nessuno ci dava informazioni. Io, mio marito, mia madre e i miei due figli eravamo già seduti quando hanno riaperto le porte e la polizia ci ha ordinato di scendere. Nessuno capiva perché e cosa stesse succedendo. Siamo scesi tutti e all`improvviso alcune persone hanno iniziato a urlare e scappare. Ho visto la polizia rincorrere e afferrare alcuni miei connazionali. A uno gli hanno rotto un braccio. Nella confusione ho perso mio marito. Ci hanno ordinato nuovamente di salire e le porte si sono chiuse. L`autobus è partito nella confusione più totale”. La donna arriva a Cosenza in nottata. Del marito, Mahari Kidane, 33 anni, nessuna traccia. I volontari chiedono notizie ai poliziotti. “Gli agenti ne avrebbero semplicemente cancellato con un colpo di pennarello il nome nella lista”,si legge nell`interrogazione. “Ho avuto una risposta informale secondo cui quella persona si sarebbe allontanata volontariamente”, afferma il deputato democratico.

Versione opposta quella della Questura che ricorda come non ci siano state lamentele o denunce di abusi e violenze, nonostante siano passati da Pozzallo, nel solo 2013, 4500 migranti. Per il sindacato di polizia dell’UGL i pestaggi sarebbero solo “fantasie, infondate, riportate solo per colpire gratuitamente chi invece è impegnato in prima linea, mal retribuito e senza limiti di orari”.

 

Fonte: Terrelibere