La psicologia dell’Affido. Come si prepara un bambino al rientro in famiglia?

Il percorso di affido familiare chiama in gioco tante emozioni diverse: per il minore, la famiglia d’origine e la famiglia affidataria. I consigli di un’esperta psicologa per cercare di vivere nel migliore dei modi, per tutti, il momento della fine dell’affido e del rientro in famiglia

L’affido nasce come misura di tutela verso un minore che temporaneamente deve essere allontanato dalla famiglia d’origine a causa di una situazione di grave instabilità, e viene perciò inserito in una famiglia che lo accoglie garantendo il rispetto dei suoi bisogni in termini di cura e di relazione.
L’affido ha dunque nelle sue premesse il senso di temporaneità e la prospettiva del rientro in famiglia diventa la soluzione più auspicabile per il minore e il suo nucleo familiare, diventando addirittura indicativa del successo del percorso di affido.
Questo è chiaro fin dall’inizio tanto al minore, quanto ai genitori biologici e a quelli affidatari, che per tutta la durata dell’affido si ritrovano a prendersi cura del minore, “lavorando” nell’ottica del rientro in famiglia, ponendosi talvolta come facilitatori nella relazione tra il minore e la famiglia di origine, aiutando il bambino a comprendere gli avvenimenti e i comportamenti a volte ambivalenti dei genitori.
Tuttavia, il rientro in famiglia può rappresentare un momento di grande criticità e può essere accompagnato da un maremoto di emozioni che agitano il minore e possono tradursi in crisi di rabbia, atteggiamenti di chiusura e isolamento, irrequietezza, regressioni e incubi notturni.
Diventa perciò fondamentale tradurre queste manifestazioni di disagio e malessere e comprendere i vissuti interiori che possono accompagnare questa fase della vita della famiglia affidataria.

La consapevolezza che nasce dal vedere riconosciuti i propri bisogni

Partiamo innanzitutto dalla consapevolezza che i minori in affido hanno delle fatiche educative e relazionali con la famiglia d’origine, consapevolezza che diventa ancora più definita nell’esperienza di affido, dove il minore comprende cosa significa vivere in un nucleo familiare capace di riconoscere i bisogni di un bambino e di prenderli in carico, sia sul versante regolativo che sul versante affettivo.
Il ritorno in famiglia può attivare la paura che il cambiamento della famiglia d’origine non sia stabile e concreto e che a seguito del ritorno a casa si possa ricadere nelle stesse disfunzionalità: il minore può temere che in realtà mamma e papà non ce la faranno o che possano non farcela a lungo, rimettendo di nuovo in discussione l’equilibrio familiare.
Alla paura del fallimento a seguito del rientro a casa si aggiunge la paura del minore di perdere quanto trovato nel percorso di affido, l’affetto e la stabilità offerta dalla famiglia accogliente sono diventati una presenza costante che ha accompagnato il minore verso un “benessere” e un equilibrio maggiore di quanto precedentemente esperito.

Le emozioni che entrano in gioco quando si chiude un percorso di affido

Tra le emozioni che accompagnano il bambino in questo delicato momento, oltre la paura, senz’altro troviamo la tristezza legata alla chiusura dell’affido, al dover abbandonare degli spazi considerati sicuri e non vivere più la quotidianità con i suoi genitori affidatari, non viverne più l’affetto e il supporto quotidiano.
A questo si aggiungono le emozioni contrastanti attivate “dalla doppia appartenenza”, i minori in affido spesso manifestano la fatica dell’appartenere a due famiglie, a due mondi, a due realtà. Durante i percorsi di affido è comune per i minori sentire un patto di lealtà verso la famiglia di origine e vivere con senso di colpa l’ affetto verso i genitori affidatari; in fase di chiusura può attivarsi la stessa dinamica in senso inverso, lasciare i genitori affidatari può farli sentire in colpa e può farli sentire dei “traditori” verso gli affidatari.
Il minore può sentire anche rabbia, frustrazione, senso di colpa per degli avvenimenti di cui non sente di avere pieno potere e che possono apparigli come “imposte dai grandi, dagli adulti” seppur condivisi con lui.
Questo quadro delineato è importante sia ben presente agli affidatari, in modo che possano aprire uno spazio di ascolto con il minore e che possano leggere dietro i comportamenti e gli atteggiamenti del minore la fatica emotiva che sta provando.

Il supporto al minore che deve garantire la famiglia affidataria

La famiglia affidataria, pur vivendo anch’essa il dolore e la fatica della separazione,può e deve supportare il minore in questo momento di complessità. Innanzitutto rispecchiando le sue emozioni e aiutandolo a esprimerle, in questo modo potrà essere accolto il dolore e lo smarrimento, e anche il minore potrà “dare parole” a ciò che prova.
Rispetto alle paure del minore è importante offrire rassicurazioni, spiegargli che ci sarà sempre una tutela verso il suo essere figlio, che la sua famiglia continuerà ad essere monitorata e seguita per assicurarsi che si mantenga un benessere familiare.
Rispetto al tema della perdita, in un’ottica di continuità degli affetti, capire, anche con i servizi sociali, quali potranno essere i tempi e gli spazi in cui potrà sentire ed eventualmente vedere la famiglia affidataria, e in questo modo rassicurare il minore.
A questo si aggiunge un importante supporto sulle emozioni legate al tema della doppia appartenenza.
Aiutare il minore a comprendere che può sentirsi appartenente a due distinti nuclei familiari senza per questo attivare dei vissuti di colpa, senza vederne la competizione ma cogliendone al contrario la risorsa supportiva. Aiutarlo a comprendere che l’appartenenza non può esaurirsi al vivere insieme, ma riguarda il legame affettivo che si è creato e che non si esaurisce con la semplice convivenza.
Diventa poi importante aiutarlo a fare un esame di realtà rispetto alle paure, sottolineare il fatto che non affronterà tutto da solo ma che l’equipe psicosociale accompagnerà e monitorerà il passaggio. Aiutarlo a trovare le sue risorse e le competenze che potrà mettere in atto in questa fase di cambiamento è certamente importante per far sì che non si viva questo cambiamento in modo passivo, ma che possa viversi come parte attiva del percorso.
Certamente in questo momento di cambiamento, anche la famiglia affidataria sperimenterà tristezza, e ci sembra importante che venga espressa senza mascherarla, come manifestazione dell’affetto e della fatica del separarsi, ma accompagnandola con la gioia per il rientro in famiglia.
Aldilà del grande carico che richiede il supporto al mondo interiore del bambino, ci sembra fondamentale che si cerchi di far vivere serenamente gli ultimi giorni in casa, creando momenti speciali, utilizzando l’ironia, giocando insieme e coccolandosi, i comportamenti supportivi e di intimità che fisiologicamente una famiglia mette in atto rimangono la principale risorsa che si può mettere in gioco per accompagnare il minore verso il rientro a casa.
Ci sembra infine importante non perdere di vista il fatto che l’affido è un intervento di comunità ed è diritto e dovere della famiglia affidataria potersi appoggiare ed essere supportata dai servizi sociali, dal privato sociale e dalle reti di supporto informale che la famiglia si è costruita nel tempo.

Silvia Caredda
formatrice e psicologa, collaboratrice della sede di Ai.Bi in Sardegna