Quei bimbi in mare commuovono i marinai: “Ora li adottiamo noi”

marinaiI militari italiani li hanno strappati alle onde e confortati. E si offrono di fare da genitori ai piccoli profughi rimasti soli

Forse abbiamo bisogno di una badante o di un tutore in economia, ma per favore nessuno ci venga a insegnare l’umanità. L’Europa pensi a darsi una mossa, la smetta di fare riunioni e di sottoscrivere solenni impegni, ma nel contempo guardi che razza di gente siamo noi.

Tutti: tedeschi, francesi, spagnoli, greci, maltesi, i duri e i mezzi duri del vecchio continente, osservino gli italiani in mezzo ai drammi e alla morte, poi finalmente si sciacquino la bocca. Saremo inaffidabili e farfalloni, gaudenti e impuniti, ma quando qualcuno è in difficoltà siamo i primi a muoverci e a tendere la mano, senza chiedere chi sia e da dove venga. Certo non siamo perfetti, ma nella nostra imperfezione abbiamo un cuore grande così.

Scene da banchina portuale, Porto Empedocle: i sopravvissuti dell’ennesimo naufragio scendono dalla nave militare «Libra». Hanno alle spalle ore di terrore e hanno davanti un futuro di paure, ma prima di andarsene vogliono abbracciare i nostri marinai. Sono momenti di semplicità estrema, ma di significato supremo. C’è un grazie che vale più di qualunque medaglia e di qualunque premio Nobel. La comandante Catia Pellegrini – sì, una donna, nell’Italia del mito machista: sorpresi, gli evoluti europei del Nord? – la signora comandante racconta storie bellissime: «Alcuni dei miei uomini si sono fatti avanti per ottenere in affido i bambini rimasti soli. Hanno lasciato le loro generalità, hanno chiesto informazioni sulle procedure.Li hanno salvati, ma se possibile ci saranno anche dopo». Aggiunge Cosimo Vergine, capo team del reparto San Marco: «Abbiamo salvato molte vite, è normale che ora abbiano gesti di affetto nei nostri confronti. Dopo averli imbarcati sulla Libra, abbiamo cercato di confortarli in tutti i modi, portando una bottiglietta d’acqua, accompagnandoli alla toilette, cercando persino di scherzare un po’ con loro. Ma soprattutto abbracciandoli e rassicurandoli. I bambini ovviamente più degli altri. Erano terrorizzati, non parlavano più, ma piano piano siamo riusciti a rasserenarli. La verità è che questa gente ha bisogno del nostro aiuto anche dopo il salvataggio. Forse di più. È per questo che molti colleghi hanno chiesto, se sarà possibile, di avere in affido i piccoli scampati alla morte: anche se siamo chiamati a compiere rigidamente il nostro dovere, umanamente non è possibile restarne fuori…».

Sono militari, conoscono alla perfezione i propri compiti e li eseguono alla perfezione, secondi a nessuno: né ai tedeschi, né ai francesi, né agli inglesi. Ma portano in mare un valore aggiunto unico e inconfondibile, un vero marchio di fabbrica, quel grandioso Made in Italy del cuore che in tutte le tragedie il mondo intero ci riconosce, dall’Afghanistan alla Somalia, dal Kosovo alla Bosnia. Le nazioni con il Pil di segno positivo e con lo spread basso, con i conti in regola e la moneta forte, tutte quante un giorno hanno imparato a conoscere i nostri carabinieri, ora stanno imparando a conoscere i nostri marinai. Possono snobbarci e deriderci su mille questioni, ma non potranno mai avere da ridire sulla nostra qualità migliore, questa umanità costruita sui secoli fertili dell’umanesimo latino, questa generosità e questa disponibilità che non nascono dal calcolo, dalla convenienza, dal profitto, ma semplicemente da un’anima aperta e ospitale. Tra tutte le sventure, quei bambini presi dalle onde hanno incontrato la prima fortuna della loro misera esistenza: i nostri marinai, cuori d’Italia.

 

Cristiano Gatti 

Fonte: Il Giornale