Ricorsi al Tar e denunce all’Unicef. Battaglia sulle adozioni all’estero

bielorussiaRiportiamo di seguito il testo integrale dell’articolo pubblicato venerdì 30 gennaio 2015 sulle pagine del quotidiano “La Stampa” a firma del giornalista Raphael Zanotti.

 

Da una parte manca il timbro, dall’altra la certificazione: le adozioni internazionali muoiono. E non per mancanza di famiglie che vogliano adottare. Muoiono di burocrazia, quella che sembra essersi inchiodata dalle parti della Commissione adozioni internazionali.

La Bielorussia non sapeva più cosa fare. Il 13 settembre scadeva il documento di garanzia che annualmente la Cai deve inviarle sulle condizioni di vita e di educazione dei bambini bielorussi adottati in Italia. Ha aspettato. Ha sollecitato. Ha sollecitato ancora. Poi il 13 gennaio ha chiuso le adozioni e inviato una lettera direttamente alle associazioni italiane: “Vi chiediamo di informare i vostri associati (famiglie) di porre loro le nostre scuse per le difficoltà venutesi a creare, certamente non per nostra responsabilità”.

La Cai ha risposto sul suo sito dopo qualche giorno: grande collaborazione e lavorìo. Ma le associazioni sanno che, a tutt’oggi, nulla si è ancora mosso.

 

Gli altri Paesi

La Bielorussia è un caso. Ma ce ne sono mille altri. In Cambogia vige un accordo bilaterale. La Cai aveva promesso di far avere al governo cambogiano l’elenco delle associazioni italiane autorizzate a operare. Doveva arrivare il 17 dicembre. A Phnom Penh aspettano ancora. E per ora tutto è fermo. Stessa cosa per Haiti, Nepal, Guatemala: l’ultima attività risale al 2013. Poi il silenzio.

È così da oltre un anno. Da quando si è insediata la nuova vicepresidente Silvia Della Monica, numero uno della Cai con cui le associazioni non hanno proprio un rapporto disteso. Prima erano solo borbottii. Poi proteste. Alla fine siamo arrivati ai ricorsi.

 

Le cause

Alfabeto, associazione di Pesaro che negli anni ha portato in Italia qualcosa come cinquecento bambini, si è appena rivolta al Tar. Il presidente, Mauro Mosconi, è uno che di burocrazia ne capisce: è stato vicesindaco, vertice di una Asl, dirigente in Regione e Provincia. “Ma mai avevo visto una situazione simile, non rispondono nemmeno alle  lettere”, dice. Ad aprile 2014 ha inoltrato richiesta per ottenere il rinnovo del certificato che lo autorizza a operare in Lituania (dove otto famiglie sono in attesa) e nella Federazione Russa.

Da allora ha inviato richieste, solleciti, diffide. Niente, l’impenetrabile edificio della  Cai è rimasto tale. L’associazione ha presentato ricorso, lamenta il silenzio della Commissione che non le permette di lavorare. “Questa signora non riunisce la commissione da giugno, ha deciso di mettere le dogane ai sentimenti – dice Mosconi -. Dovrebbero commissariarla”.

 

Il Congo e l’interrogazione

Qualcuno l’ha già chiesto. Un’interrogazione è stata presentata dal capogruppo dell’Ncd Maurizio Sacconi. Anche i renziani che si occupano di cooperazione e infanzia sono sul piede di guerra, ma il premier pare abbia chiesto di soprassedere. La battaglia quirinalizia disegnerà nuovi equilibri.

A pesare sul futuro della vicepresidente è però un episodio avvenuto in Congo. Poco prima di Capodanno, scrivono i giornali locali, alcuni emissari della Cai avrebbero trasferito ventidue bambini di notte, per spostarli da una casa famiglia ad altre strutture. Il Congo non l’ha presa bene. E nemmeno i bambini. Il trauma pare sia stato tale che quelli rimasti ora hanno paura ad addormentarsi, quelli trasferiti sono sotto shock. Una bambina di soli 8 anni avrebbe avuto il mestruo.

 

“Notizie false”

La Cai nega, parla di notizie false. Ma l’Ai.Bi., altra storica associazione, ha presentato una denuncia all’Unicef. Tra Ai.Bi. e Cai è guerra aperta. Di recente l’associazione si è rivolta al Tar proprio per il Congo. Denuncia che le sarebbero state “sottratte” 50 famiglie. La Cai avrebbe addotto ragioni di delicatezza della situazione nel Paese. Ma ha revocato solo le famiglie. E solo all’Ai.Bi. Perché?

Sul piede di guerra sono in tanti, ormai. Anche un’altra storica associazione come il Cifa. “Non riusciamo a lavorare così – si lamenta il presidente Gianfranco Arnoletti -. Senza autorizzazioni non prendiamo più incarichi, non possiamo più vivere alla giornata”.

Le duemilaquattrocento adozioni dell’anno scorso sembrano un ricordo. Le proiezioni più rosee ora non arrivano a duemila.