Pensioni 2023: aumento del 7,3%, ma i maggiori benefici andranno agli assegni più consistenti

Con l’annunciata rivalutazione delle pensioni del 7,3% chi riceve fino a 1000 euro avrà aumenti da 39 a 62 euro, mentre gli assegni superiori vedranno aumenti a tre cifre ben più alti. Un paradosso per una misura anti-inflazione che ci si augura il governo possa correggere

Dopo i primi, piccoli, aumenti arrivati già nei mesi finali del 2022, il più corposo aumento per le pensioni è atteso nel 2023, quanto la rivalutazione porterà un rialzo degli assegni del 7,3%. Sicuramente una buona notizia per tanti pensionati, ma con un paradosso, al momento: a guadagnarci di più sono coloro che hanno le pensioni più alte, mentre chi riceve l’assegno minimo dovrà accontentarsi di circa 40 euro.

Rivalutazione pensioni al 7.3%: sproporzione tra redditi bassi e alti

Scendendo più nel dettaglio del provvedimento, bisogna dire, prima di tutto, come l’arrivo dell’aumento non fosse scontato: pensato dal Governo Draghi ormai circa un anno fa, il nuovo esecutivo ha deciso di tenere fede alla promessa e confermare la misura che prevede una “maxi rivalutazione” pensata come misura anti-inflazione.
Tecnicamente, il meccanismo di calcolo della rivalutazione tiene conto del criterio della “progressività contenuta”, che dovrebbe prevedere recuperi proporzionalmente più alti per gli assegni meno cospicui (con una rivalutazione del 100% per le pensioni fino a 4 volte il minimo), e via via più bassi, in proporzione, all’aumentare degli assegni (rivalutazione al 90% per assegni da 4 a 5 volte il minimo e del 75% per cifre superiori). Nonostante questo, però, è chiaro che, raffrontati tra loro, gli aumenti appaiono davvero impari, con le pensioni fino a mille euro che vedranno un aumento che va dai 39 ai 62 euro, mentre chi già riceve, per esempio, 2.215 euro al mese, avrà un aumento di 129 euro e chi ne riceve 2.838 ne otterrà ben 171 in più.

La rivalutazione pensioni è una misura contro l’inflazione

È evidente che la sproporzione è dovuta alla differenza dell’assegno di base: il 7,3% di 523,83 euro, ovvero la pensione minima, è, appunto, poco più di 38 euro, mentre il 7,3% di 2100 euro (circa 4 volte il minimo) è di 153 euro, che anche tenendo conto della “progressività contenuta”, risulta comunque sensibilmente di più.
Tenendo conto che l’aumento è pensato per contrastare l’inflazione che, notoriamente, colpisce in particolare chi ha redditi più bassi, è lecito pensare come, forse, la “progressività contenuta” poteva essere pensata diversamente, cercando di destinare qualche risorsa in più a quelle pensioni fino a 1000 euro che già oggi faticano molto a essere abbastanza per arrivare alla fine del mese.
Speriamo che il governo di Giorgia Meloni ci ripensi.