Settimo Torinese. Griffini (Ai.Bi.) “Ogni neonato abbandonato e ritrovato è solo la punta di un iceberg. Urge una diffusione capillare delle culle per la vita”

Sta provocando sgomento, dolore e profonda tristezza la notizia dell’ennesimo caso di abbandono di neonato avvenuto ieri 30 maggio a Settimo Torinese. Ancora una volta una mamma, che stando a quanto da lei stessa confessato agli inquirenti, non si sarebbe accorta di essere incinta e non si ricorderebbe di avere abbandonato il neonato (morto poco dopo l’arrivo in ospedale). Ennesima tragedia, ennesimo caso di disperazione.

E un giorno dopo dal “fatto di cronaca” siti e social si riempiono di facili polemiche e insulti rivolti alla donna. Ma anche di appelli a trovare soluzioni alternative per evitare nel futuro eventi drammatici come questo. Come l’intensificazione della culla per la vita e la depenalizzazione del reato di abbandono.

Casi come questi sono solo la punta dell’iceberg”,  commenta Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. I dati semi-ufficiali parlano di circa 400 bambini abbandonati ogni anno, o comunque non riconosciuti dalla madre, “ma c’è chi aumenta il numero fino anche a 3mila. Occorrerebbero studi approfonditi, impossibili per una semplice ragione: all’appello, inevitabilmente, mancano tutti quelli di cui non veniamo a conoscenza”.

Che sono tanti. Negli ultimi anni, e considerando solo gli ospedali di Milano, ogni mese sono nati tre bambini che non sono stati riconosciti dai genitori, e un terzo di loro era italiano. “Il problema è immane – continua Griffini -, in Italia esiste una legge che tutela il parto anonimo, però non viene quasi mai considerata. È difficile anche darle corso, perché servirebbe una rete di sostegno che non c’è”.

Per questo Ai.Bi. rilancia l’appello di intensificare la presenza delle “culle per la vita” una per ogni quartiere, dove le madri con qualche difficoltà possono lasciare i loro piccoli”.

Se ci fosse stata una culla per la vita anche a Settimo Torinese – precisa Griffini  – il bambino sarebbe ancora vivo. La giovane mamma avrebbe, infatti, lasciato il neonato al riparo nella culla, si sarebbe allontanata in tutta sicurezza senza il rischio di essere identificata e il piccolo, preso in carico dal personale del 118, sarebbe stato portato in ospedale. Insomma tutto si sarebbe svolto nel modo più corretto. E si sarebbe salvata una vita”

Insomma chi deve aiutare è la società, altrimenti davanti all’errore del singolo, tutti devono fare un “mea culpa” e non condannare. 

Senza entrare nel merito del gesto – precisa Griffini –, è necessario però soffermarsi e fare una riflessione. Bisogna prevenire e aiutare. Proprio con la diffusione delle culle per la vita.

Ennesima vicenda, dunque, che fa emergere ancora di più l’impellenza di diffondere a livello capillare su tutto il territorio nazionale la Culla per la vita, l’unica vera alternativa al parto in anonimato in ospedale.

In Italia al momento ce ne sono circa 50. Elenco culle per la vita.

Oltre a queste c’è anche la culla per la vita di Ai.Bi., “Chioccia” inaugurata lo scorso 1 dicembre 2015 a Melegnano (Milano) facilmente raggiungibile dalla rete di autostrade lombarde, e che va a potenziare un’offerta ancora a macchia di leopardo in Lombardia.

La culla per la vita di Ai.Bi è l’unica nel territorio, nel sud della città di Milano. Nella struttura dove è ospitata la culla sono presenti costantemente operatori specializzati o di chi lascerà il bambino nella culletta nella presa in carico del neonato, nel rispetto dell’anonimato della mamma.

Fonte: Libero