Siria. Giacomo Argenton, cooperante Ai.Bi.: “I bambini siriani non vedono più un futuro. Ecco perché, a 26 anni, il mio posto è qui con loro”

green 1Quello che mi fa arrabbiare e che mi fa vergognare, è che siamo talmente egoisti che pensiamo e parliamo troppo spesso dei problemi che queste persone possono causare e non quello da cui sono costretti a fuggire, a rinunciare e ad abbandonare”.  Dall’ “alto” dei suoi 26 anni e con all’attivo la sua prima esperienza da cooperante in Siria per conto di Ai.Bi., Giacomo Argenton ha le idee molto chiare e soprattutto è determinato ad andare avanti, a non indietreggiare di un solo passo su quella ‘prima linea’ dove si trova con Amici dei Bambini finché non avrà portato a termine la mission per la quale è partito 3 mesi fa.

Giacomo è tornato a Milano per qualche settimana, giusto il tempo necessario per mettere in ordine qualche documento e festeggiare per il nuovo, ambizioso intervento di emergenza di Amici dei Bambini nel nord della Siria, finanziato da UNOCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari.  Ma il lavoro sedentario di ufficio non fa per lui e mentre rilascia questa intervista già scalpita per ripartire alla volta della Siria.

Del resto lui all’indomani del diploma sapeva che il suo futuro era viaggiare, muoversi per il mondo, andare nei posti più lontani da casa “per rendermi conto di cosa ci fosse al di fuori di quel nido protetto – racconta Giacomo – Sentivo che dovevo fare…agire…”.  Una smania interiore  “costruttiva”.
Ecco perché “all’indomani della maturità – continua Giacomo – mi sono preso un anno ‘sabbatico’ e sono andato in Uganda, in un villaggio rurale. Volevo, dovevo, vedere con i miei occhi, toccare con mano, aiutare, rendermi utile: e ho fatto di tutto, dal costruire case, capanne, alla ricerca e raccolta dell’acqua a semplicemente giocare con i bambini del villaggio. Quello che maggiormente ricordo di quel periodo, è la sensazione di essere io lo ‘straniero’, quello guardato a vista, controllato in ogni suo movimento e gesto. Sentivo sulla mia pelle la diffidenza che molte volte diventava paura: quella che probabilmente sentono sulla loro pelle i siriani oggi”.

Dall’Uganda alla Nuova Zelanda: contesti e Paesi agli antipodi ma legati da un sottile fil rouge. I bambini. Anche qui Giacomo si prende cura dei più piccoli, diventando l’allenatore di una squadra junior di rugby. Il ritorno a casa è inframmezzato da un ‘passaggio’ in Nicaragua, dove per una ong olandese, Giacomo per 7 mesi passa dallo sport all’atelier di arte e giochi, dove le sue “allieve” sono giovani mamme che vogliono imparare un mestiere, nell’ambito di un progetto sull’empowerment  femminile.

Tornato a casa, “avevo le idee assolutamente più chiare – racconta – il mio futuro non sarebbe stato fare l’avvocato, il medico o il titolare di azienda (professioni comuni nella famiglia di Giacomo ndr), ma il cooperante. Dovevo però formarmi: il cooperante non è un qualcosa che si improvvisa, ha bisogno di altrettanta specializzazione e studio. E’ una cosa seria che troppo spesso invece viene presa alla leggera con i rischi ben noti”.

Giacomo così si laurea in “Scienze sociali per la globalizzazione” e consegue il master alla Bocconi in “Bilancio sociale e rendicontazione”. Qua l’incontro e l’innamoramento con Ai.Bi., i cui progetti di cooperazione internazionale sono stati al centro di alcune lezioni.

Segue selezione in sede a Milano, il periodo di formazione sul campo in Perù e la prima vera missione: la Siria dove Ai.Bi ha tra i suoi più importanti progetti di cooperazione nell’ambito del progetto “Io non voglio andare via” .

Ed è tempo di primissimi bilanci, tra rabbia per l’infuriare della guerra ed emozioni uniche ormai impresse nel cuore e nella mente di Giacomo.

Da 3 mesi a questa parte non ho ancora conosciuto un siriano – racconta – che mi abbia detto “ah quando la guerra finirà…’. No. Perché non vedono una fine. Non vedono un poi in tutto questo. Non vedono un futuro. Quello che queste persone letteralmente hanno abbandonato, partendo e salpando per quell’incubo che è diventato la migrazione verso l’Europa, è il proprio futuro. Abbandonano la propria vita e quella dei propri cari. Per questo è fondamentale la nostra presenza là: Ai.Bi aiuta loro a resistere, a ritagliarsi quella ‘normalità’ negata fatta di scuole, ospedali, ludoteche, giochi e cibo

Forse non tutti sanno che nonostante tutto ciò che sta accadendo – aggiunge 16.7 milioni di siriani non hanno ancora abbandonato il proprio Paese. Forse non tutti sanno che a oggi ci sono 13.5 milioni di persone che hanno bisogno di aiuto di cui 6,7 milioni sono bambini e bambine. Forse non tutti sanno che 6.5 milioni di persone sono rifugiati interni e non hanno una casa a cui tornare. Solo 1.7 milioni hanno accesso a campi profughi”.

E ancora “dal 2011, una media di 50 famiglie al giorno sono stati sfollati – precisa – Forse non tutti sanno che oltre 2 milioni di bambini non possono andare a scuola, e forse non potranno andarci mai e che 10.000 sono rimaste vittime del conflitto. Forse non tutti sanno che 8.6 milioni di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare e non sono in grado di procurarsi cibo in maniera autonoma”.

Un elenco interminabile di diritti negati ai siriani: e ogni “assenza” è un motivo in più per Giacomo a non abbandonare i bambini sirianiil 70% della popolazione siriana non ha accesso ad acqua potabile – continua – solo il 45% degli ospedali è completamente operativo in Siria, spesso sottoterra, senza corrente elettrica e senza acqua corrente”.

La Siria e i siriani non hanno bisogno di compassione – aggiunge – ma di una reazione, di un piano condiviso, di unità e di partecipazione a livello globale. A poco servono le immagini choc che vengono strumentalizzate dai media: c’è il rischio di renderci passivi di fronte a tutto ciò, capaci solamente di provare qualcosa per quell’istante che l’immagine riempie i nostri occhi, ma che sparirà il momento stesso in cui avremo girato pagina”. Ecco perché Ai.Bi. non va via.

Questa guerra e le sue conseguenze non influenzano solo la Siria e i siriani ma tutti noi. Invece di aspettare, di avere paura, di vivere senza un’idea di ciò che vogliamo possa essere questo mondo, il nostro mondo bisogna reagire. “Reagire per fare in modo che il mondo possa togliersi il paraocchi dell’avidità e dell’ipocrisia – dice – per guardare un po’ più in là e riscoprire il vero significato di empatia e solidarietà… o semplicemente per riscoprirsi come essere umano”. Tanta maturità e consapevolezza nel valore dei progetti che si portano avanti per la “propria” associazione. Tanto orgoglio che porta Giacomo a dire, già con la valigia in mano diretto in aeroporto per la Siria “forse non tutti sanno che è semplicemente questo di cui si tratta – conclude – Mani e teste che lavorano sul campo che però ben poco possono fare senza la solidarietà e gli aiuti concreti anche…a distanza”. Il riferimento è al contributo che chiunque può dare, attivando un sostegno a distanza.