Sopravvissuti al naufragio ma soli e troppo piccoli: quale sarà il loro destino?

news 4Sono rimasti soli al mondo i piccoli profughi siriani, incredibilmente sopravvissuti al naufragio di venerdì 11 ottobre in mezzo al Canale di Sicilia.

Hanno dai nove mesi ai sette anni e sono ora ospiti di una comunità di Menfi (Agrigento), ribattezzata la casa dei bimbi senza tutto. Senza genitori, senza famiglia, senza amore e persino senza nome. Li hanno portati nella struttura domenica sera, sporchi, impauriti, seminudi e soprattutto soli. Di seguito il reportage realizzato dal quotidiano La Repubblica.

Da lunedì 14, con grande dedizione, gli operatori dell’istituto Walden, la comunità per minori alla quale sono stati affidati, cercano in tutti i modi di tranquillizzarli, ma è davvero difficile sostenere il loro sguardo. Quel che si legge, negli occhioni profondi di questi bimbi piccolissimi, è terrore e una grandissima tristezza. Sono in sei, i più piccoli tra tutti i minori non accompagnati sopravvissuti ai naufragi di Lampedusa. Tutti siriani, il più piccolo ha tra i nove e i dieci mesi, il più grande sette anni. Tre sono fratelli, ma anche con gli altri tre hanno istintivamente assunto un atteggiamento di grande condivisione. Di tutto, di giochi, di sonno, di pianto, di silenzi e di paura. Parlano tra di loro, ma in una lingua incomprensibile per gli operatori della comunità che chiedono di avere inviato un mediatore culturale che parli siriano. Perché, innanzitutto, questi bambini (soprattutto i più grandi) potrebbero anche essere in grado di dare qualche informazione sulla loro identità, sulla loro famiglia e consentire, nel caso fossero sopravvissuti, di riunirli ai loro genitori.

La bimba che qui hanno chiamato Kitty, ad esempio, potrebbe essere Maram, la piccola siriana di 17 mesi, che a Malta una giovane madre disperata sta cercando da giorni. «Sono sicura che mia figlia è viva –ha raccontato la donna agli operatori del centro di accoglienza di Malta dove è stata portata – stava bene quando ci hanno salvato. Un soccorritore me l’ha presa dalle mani. Forse è a Lampedusa». Se Maram è tra i sei bimbi sbarcati a Porto Empedocle in braccio agli ufficiali della nave della Marina militare Libra, potrebbe essere Kitty, la piccola ricciolina che hanno chiamato così perché al collo porta una catenina con un ciondolo di Hello Kitty. «Vuole stare sempre in braccio, cerca il contatto con il corpo, vuole essere cullata e dondolata, appena proviamo a metterla giù piange disperata», racconta l’operatrice della comunità che si occupa di lei. Apre gli occhioni castani Kitty, ma al sorriso non riesce a rispondere con il sorriso come fanno sempre i bambini.

«Dormono poco e male, si svegliano continuamente e piangono e invocano “Mani”. Quando sono arrivati erano sporchissimi e lavarli è stato davvero difficile. Il solo contatto con l’acqua li terrorizzava», dice Michele Buscemi, il responsabile dell’istituto Walden al quale può rivolgersi chiunque voglia donare abiti o altro per questi bambini. Le ragazze che al piano di sopra di questa grande casa bianca si prendono cura dei piccolissimi raccontano scene strazianti. Soprattutto dei tre fratellini: i due gemellini, di circa tre anni, un maschietto e una femminuccia, e il piccolo Salvatore (lo hanno chiamato così dal nome del marinaio che lo ha salvato), dieci mesi al massimo.

«Salvatore piangeva disperatamente, non voleva bere il latte né mangiare, non riusciva a dormire. La bambina lo ha preso sulle gambe, si è messa a cullarlo al petto, gli dava dei piccoli colpi sul sederino, fino a quando il piccolo non si è addormentato. Poi si è addormentata abbracciata al gemello». La gemellina porta sotto il mento i segni di quelle che il pediatra ha definito ferite da bombe, ma è lui, il bambino dalla cascata di riccioli castani e gli occhioni azzurri quello che sembra soffrire più di tutti: piange spesso, tende la mano agli operatori della comunità, cerca la sorellina. Si calma solo quando può andare dietro al cancello bianco della casa: ci sono tre cagnolini, lì. Lui fa “bau” e sorride. E’ l’unico sorriso di tutta la giornata.

La macchinina rossa che gli hanno dato a Porto Empedocle quando è sceso a terra è una sorta di coperta di Linus per il bimbo che non si sa chi ha chiamato Amud. E’ vestito con pantaloncini e magliettina mimetici e non fa niente senza quella macchinina in mano. «E’ sveglissimo – dice Michele Buscemi- e ripete qualsiasi parola noi gli diciamo: cane, biscotti, acqua. Ma ogni tanto si siede, sta immobile e guarda fisso nel vuoto, come ipnotizzato».

Il più reattivo di tutti è Karim. Se lo chiami con quello che sembra essere il suo nome si gira. Se gli chiedi quanti anni ha e provi ad indicare un numero con le dita, fa il segno di sette. Si occupa degli altri bambini, fa in qualche modo da “interprete” delle loro esigenze. «Stamattina ci ha chiesto dei biscotti, ma non erano per lui. Ne ha presi quattro e li ha distribuiti ai due gemellini». Disegna e scrive Karim, che forse al suo paese andava a scuola. Disegna bandiere e scrive un numero, forse un numero di telefono. Forse l’unico filo per ricongiungerlo alla sua famiglia, in Italia o in Siria. Diversamente il suo futuro, come per gli altri, sarà quello dell’affido o dell’adozione.

 

Da ALESSANDRA ZINITI

Fonte: Repubblica Palermo