Utero in affitto e adozione: “Ho dato la vita a un bambino di 5 anni e mezzo nato in Cina. Certo era già nato e non fisicamente da me”

Una intervista pubblicata su la Repubblica di una donna che, dopo l’asportazione dell’utero, è determinata ad avere un figlio attraverso l’utero in affitto, ha aperto un interessante dibattito sul presunto diritto di avere un figlio “che ci somigli”

Giovedì 8 agosto, a pagina 14 del quotidiano la Repubblica (e sulla versione online del quotidiano – lettura completa solo per abbonati) è stata pubblicata una toccante intervista a una donna di 30 anni ammalatasi di un tumore che l’ha costretta a un’isterectomia totale (la completa asportazione di utero, cervice, tube e ovaie). L’articolo, al di là della malattia, verteva sulla risoluta convinzione della donna di voler ricorrere alla GPA (Gestazione per Altri, altrimenti detta: utero in affitto) per avere un figlio, riprendendosi “quello che la malattia mi ha tolto senza che io lo meritassi”. Nelle varie domande della giornalista Viola Giannoli ne era compresa una anche sull’adozione, altra possibile strada per avere un figlio. Questa la risposta dell’intervistata: “«Non ho nulla contro, anche se pure quello non è un percorso così liscio. Da sempre però sogniamo una piccola Arianna o un piccolo Alessandro, qualcuno che ci somigli, qualcosa da lasciare di noi nel mondo del futuro. Non voglio passare per egoista, per me è un riscatto come donna dopo la malattia. E visto che esiste un percorso legale in molti Paesi perché devo privarmi di questa possibilità?».

Al di là della vicenda e delle motivazioni personali, insondabili e impossibili da commentare se non per la stessa protagonista della vicenda, l’intervista ha molto colpito tanti lettori. Tra loro anche la “nostra” Francesca Mineo, giornalista, scrittrice, mamma adottiva e da anni collaboratrice di Ai.Bi. Amici dei Bambini, che si è sentita di scrivere un’immaginaria risposta alla donna, scritta con il cuore, “come se parlassi a mia sorella”.
Eccola:

Diventare genitori

“Cara Arianna,
è difficile mettersi nei suoi panni dopo aver letto l’intervista pubblicata su Repubblica. Certo arriva immediato il suo dolore, la delusione, le aspettative infrante, la rabbia. Tuttavia, pur non conoscendola, ho colto un aspetto che caratterizza noi donne: anche di fronte a difficoltà o tragedie che ci toccano da vicino, troviamo risorse per ricominciare. Il suo desiderio di diventare mamma, condiviso con suo marito, lo dimostra: cosa c’è di più perfetto che donare la vita?
La risposta che ora ha trovato è di donarla attraverso la GPA: mi permetto di scrivere ‘ora’ perché, per esperienza personale, diventare genitori secondo modalità diverse dal percorso cosiddetto naturale evolve, cambia, si trasforma nel tempo. E in un momento di grande sconvolgimento, fisico, emotivo, di coppia, molte possono apparire le soluzioni cosiddette veloci per sanare le ferite, ognuna delle quali non senza conseguenze o contraccolpi.
Le racconto uno dei modi attraverso cui è possibile dare la vita, cui anche lei ha fatto cenno, l’adozione. Siamo tutti d’accordo: non è semplice, i tempi sono lunghi – lei è molto giovane, magari per una adozione nazionale i tempi potrebbero accorciarsi -, gli ostacoli possono arrivare, come per qualsiasi percorso “altro”.

Una storia di adozione

Ho dato la vita a un bambino di 5 anni e mezzo nato in Cina. Certo era già nato e non fisicamente da me, ma non viveva: sopravviveva in un grande istituto insieme a quasi mille tra bambini e bambine. Un numero in una folla, nutrito, vestito, visitato regolarmente dai medici, instillato di regole (fin troppe) e nozioni ma, quando ha potuto esprimersi su come fosse la sua vita prima della vita con noi, ci ha risposto: “Non mi aspettavo niente, non sapevo cosa mi sarebbe successo” tranne il ripetersi regolare di attività codificate dalle 6.30 del mattino alle 21 la sera.
Senz’altro i suoi tratti sono orientali, splendidi ed eleganti come non saremmo stati capaci, eppure oggi, 10 anni dopo il nostro viaggio in Cina, è altrettanto evidente come nostro figlio assomigli a prima vista a mio marito e a me quando scoppia a ridere. Non prenda questa dichiarazione come consolatoria: è legittimo desiderare un bambino o una bambina che ci somigli, ma posso garantirle che non è sempre e solo genetica. La famiglia non nasce in base alla genetica – questo glielo posso assicurare ! – tanto che lei stessa avrà amici che le diranno quanto i loro figli “fatti in casa” siano diversi e spesso alieni.
Nostro figlio è un adolescente alieno tanto quanto altri figli biologici: ha senz’altro qualche grana in più da risolvere, perché il tema dell’identità è centrale per nostro figlio, ma mi permetto di dirle che è centrale anche per noi mamme e papà.
Chi siamo davvero? Quando possiamo definirci madri o padri? È stato in ragione della biologia, delle somiglianze, dei tratti somatici che noi stessi ci sentiamo figlie e figli dei nostri genitori?
Su questi quesiti abbiamo ragionato a lungo quando ci preparavamo ad accogliere nostro figlio e abbiamo trovato le nostre risposte nell’adozione. Non cerco di convincerla a fare come noi ma vorrei invitarla a riflettere su un dato di realtà: esiste già, in Italia o in qualche parte del mondo, una bambina o un bambino che desidera una famiglia proprio come voi.
Lei o lui sanno già che una madre o un padre non è questione di cromosomi.
Le auguro uno splendido viaggio verso la sua famiglia.

Francesca Mineo