Aprirsi al mistero della vita di una bambina accolta in affido

Maria è una bambina che ha vissuto situazioni terribili nella sua infanzia. Accolta in affido familiare, impara di valere, come persona, e di essere degna dell’amore di una mamma e di un papà. Rendendo migliori per primi i suoi genitori affidatari

Lo si è detto tante volte, ma ogni storia in più della quale si viene a conoscenza non fa che confermarlo: l’affido è un percorso meraviglioso e difficilissimo. Meraviglioso perché apre come pochi altri all’accoglienza e alla ricchezza della relazione; difficile perché pieno di ostacoli davanti ai quali genitori, figli e gli stessi operatori si trovano spesso disarmati. O quasi.
Tutto questo emerge benissimo dal racconto pubblicato da Sempre News attraverso una lettera / testimonianza di una famiglia affidataria che ha accolto Maria, vittima di violenza.

Una storia di sofferenza, che nell’affido familiare rende tutti migliori

Una violenza talmente indicibile che quando la bambina di 8 anni arriva in famiglia non ne parla assolutamente. Anzi, appare “brillante, molto gestibile…”. Genitori affidatari e bambina vivono come in stallo per settimane, studiandosi. Poi, improvviso, un giorno in macchina, tutto l’orrore tenuto dentro inizia a emergere, tramite racconti che “fanno vacillare”; racconti “di una bimba che no sa di essere cresciuta nella malvagità e che inizia a capire cosa ha vissuto”.
Un vissuto drammatico davanti al quale i genitori rimangono impotenti, senza armi con le quali rispondere. L’unica scelta possibile è quella di “stare in questa sofferenza” insieme alla bambina, facendosi carico di quel dolore che nessuno l’ha mai aiutata a portare.
Oggi che l’affido è finito, i genitori scrivono che quelle cicatrici sul corpo di Maria, sono cicatrici rimaste, condivise, anche nei loro cuori; accompagnate da emozioni intense e improvvise tra rabbia, disgusto, tristezza e senso di impotenza. D’altra parte, come si fa a spiegare con le parole che “non è giusto essere picchiati con le catene, non è giusto dormire fuori al freddo, non è giusto non avere da mangiare o dei vestiti, non è giusto fare più di 10 accessi al pronto soccorso per ferite varie senza che mai un medico segnalasse la situazione”?
Come è possibile far capire a chi per anni ha vissuto tali sofferenze che questa non è la normalità, che tu, come persona, vali, anche se nessuno te lo ha mai fatto credere? Che anche tu, proprio tu, sei degna dell’amore di una mamma e di un papà?

L’affido che rende migliore, prima di tutti, la famiglia che si apre all’accoglienza

L’unica strada possibile è stata quella di esserci, di “ascoltare e piangere con te”, di non far passare giorno senza il pensiero di voler togliere un po’ di quel fardello troppo grande che per anni una bambina si è portata addosso.
Questa reciproca accoglienza è stata la chiave di tutto, l’unica possibile, tanto da portare i genitori a terminare la loro lettera così: “Il contatto con la tua sofferenza ha cambiato tutti noi ma soprattutto ci hai cambiati tu, perché sei la prova vivente che la vita è un dono immenso e che vale sempre la pena di essere vissuta. Che i legami salvano, danno senso, allargano gli orizzonti, curano le ferite e ci rendono migliori