Storie di ordinario razzismo: Orio al Serio

orioalserio1In un momento in cui si continua a parlare di decreti di idoneità “razzisti” che delineano l’identikit del figlio adottivo perfetto, oggi diamo spazio all’incredibile storia di Yoon: un figlio adottivo di origine coreana che ha scritto una lettera aperta a Repubblica.it per denunciare un episodio di brutale razzismo subito sulla propria pelle.

Mi chiamo Yoon Cometti (in arte Yoon C. Joyce) e sono un attore di origini coreane adottato ancora in fasce da genitori bergamaschi. Ho recitato in film come “Gangs of New York” di Martin Scorsese, “Ti amo in tutte le lingue del mondo” di Leonardo Pieraccioni, “Cemento armato” Marco Martani. Ma stavolta vi scrivo per raccontare un episodio avvenuto all’aereoporto di Orio al Serio (Bergamo) di cui vorrei la gente sapesse, perché fatti del genere sono davvero deplorevoli. In data 27 Aprile 2010 mi reco in aeroporto con destinazione Roma, dove devo incontrare un produttore. Parto la sera prima dell’appuntamento per sicurezza. Già al metal detector incappo nella prima noia quando la guardia addetta al controllo vedendomi comincia a fare dei versi alla Bruce Lee e a ripetere “Liso, liso, saionara, saionara” a mo’ di sfottò. Io infastidito rispondo in bergamasco e lui viene colto di sorpresa. Alle 21,30 sono in coda per imbarcarmi. Quando giungo al banco, il ragazzo che sta al terminale mi osserva facendo una smorfia, e mentre le altre persone erano state fatte passare senza verifiche scrupolose al biglietto, al mio turno l’addetto prende la mia carta di identità, controlla che la foto corrisponda alla faccia e controlla meticolosamente i dati. Poi mi fa notare che anziché “YOON COMETTI”, sul biglietto (emesso dalla Ryanair) c’è scritto “YOON COGNOME”. Io non me ne ero accorto, evidentemente al momento della prenotazione il computer ha commesso un piccolo errore, ma da una veloce verifica i dati della carta di identità nonché quelli della carta di credito corrispondevano. Malgrado questo l’addetto dice che non posso salire a bordo, perché nessuno gli garantiva che il tizio il cui nome era riportato sul biglietto, ovvero Yoon Cognome, corrispondesse a me. Faccio notare che ho un impegno importante, la collega suggerisce di aggiungere il cognome a penna, non avrebbe comportato nulla di grave, ma lui è irremovibile. Mi arrabbio e chiedo di parlare con un direttore o con qualcuno, loro mi ridono in faccia aggiungono che non avrei ricevuto alcun rimborso. Fanno chiudere le porte. Ormai l’aereo parte, io rimango basito, loro mi invitano ad andarmene altrimenti avrebbero chiamato la polizia. A questo punto me ne vado. Cerco il primo treno e alle 5 parto dalla stazione di Bergamo da cui prendo la Freccia Rossa per Roma e pur non avendo praticamente dormito sbrigo i miei impegni. La sera infine mi imbarco dall’aereoporto di Ciampino con il biglietto di ritorno con la medesima intestazione – “YOON COGNOME” – ma stavolta la ragazza al banco lo guarda e senza dire nulla mi fa salire. Tornato a casa, ho strappato il biglietto, (che era rimasto in mio possesso) preso ancora dalla rabbia, ma poi l’ho ricomposto e ho pensato di allegarlo a questa lettera. Racconto questo episodio per denunciare il clima di razzismo che c’è nel nostro Paese: quando ero bambino, e ne ero già vittima per il colore della mia pelle (ho subito pesanti pestaggi) si trattava di un razzismo ignorante; adesso è ancora peggiore, perché è diventato un razzismo consapevole. E se la prima volta che mi sono sentito chiamare “sporco muso giallo” avevo 14 anni, ed ero a Bergamo, lo scorso anno è andata peggio: ho cercato casa in affitto in città, ma tutti me l’hanno negata. Pensate che i proprietari mi spiegavano il loro “no” dicendo cose tipo “non vorrei che si formassero dei ghetti cinesi”.