“Tenevano in alto i loro figli tentando di salvarli, mentre l’acqua saliva”: l’ultimo disperato gesto delle madri dei 40 bambini morti nell’ultimo naufragio

IMG_6133-001Una maglietta del Real Madrid rigonfia d’acqua, un paio di infradito blu, un biberon accanto a un fagottino che custodiva, ormai inutilmente, il corpicino di un bambino di pochi mesi, senza vita. Attorno altre 45 vite giunte al capolinea mescolate a centinaia di persone che, annaspando tra le onde, imploravano aiuto. È questo lo scenario che si è presentato ai soccorritori della Marina Militare giunti sul luogo dell’ennesimo naufragio tra le coste libiche e quelle di Lampedusa. Uno dei più gravi della storia recente: si stima che le vittime siano almeno 700.

Nella giornata di domenica 29 maggio comincia a delinearsi con più precisione il drammatico quadro dell’accaduto. A fare chiarezza contribuiscono, loro malgrado, i 45 sacchi neri arrivati in mattinata al porto di Reggio Calabria. Sono gli unici corpi fino a questo momento estratti dal mare. “In tutto abbiamo recuperato 155 superstiti e 45 vittime, di cui 36 donne, 6 uomini e 3 neonati. È la conta del tenente di vascello Raffaele Martino, papà di due figli, che davanti a tragedie del genere non riesce a nascondere l’umanità di un padre: “Ogni volta che tiriamo su un bimbo – dice -, il mio pensiero corre ai miei due figli che hanno un anno e mezzo e 4”. È a lui che, a ogni sbarco di superstiti e di cadaveri, tocca una delle operazioni più drammatiche: “Abbiamo accuratamente tenuto separati i vivi dai morti, anche se in tanti reclamavano un marito, una moglie, un figlio. Molti di loro, però, non avranno un corpo su cui piangere: sono centinaia i migranti colati a picco insieme all’imbarcazione che li trasportava. Almeno 40 sarebbero bambini, tra gli 8 mesi e i 2 anni. Inutile ogni tentativo disperato di salvare loro la vita: “L’acqua continuava a salire – raccontano i sopravvissuti -, le mamme tenevano in alto i loro figli, nell’inutile tentativo di salvarli”.

Anche tra chi viene annoverato tra i superstiti, tuttavia, le condizioni sono tutt’altro che di serenità ritrovata. Molte donne hanno segni di violenza: lividi, bruciature, ferite da armi da taglio. Tante le ragazze violentate: alcune sono rimaste incinte, altre partoriranno a breve, altre ancora l’hanno già fatto. Sono tutte mamme – future o appena diventate tali – con neonati che si trovano a migliaia di chilometri dalla loro terra, senza nessuno che le aiuti, con l’animo distrutto dalla guerra e dalla miseria lasciate nel loro Paese, dal trauma di un viaggio disperato, dall’aver visto la morte in faccia durante il naufragio, dalle violenze subite a bordo o nelle prigioni libiche, dove i trafficanti tengono i migranti in attesa di partire.

Per aiutare queste donne e i loro bambini, oltre ai tanti minori stranieri non accompagnati che sbarcano sulle nostre coste, Amici dei Bambini porta avanti il progetto Bambini in Alto Mare, nato allo scopo di garantire un’accoglienza giusta ai migranti più fragili.

Nel frattempo, in questa catena infinita di tragedie, arriva una bella notizia. Favour, la piccola di 9 mesi arrivata da sola dopo aver perso la madre in mare, ha trovato una famiglia che si prenderà cura di lei.

 

Fonti: La Stampa, Corriere della Sera, La Repubblica