Tommy Di Bari: “Racconto l’adozione perché mi sono innamorato di mia figlia prima ancora di conoscerla”

tommy-dibariAnche se lo conosci solo da pochi minuti, Tommy Di Bari ti parla come se ti conoscesse da una vita. Probabilmente ciò è frutto della sua esperienza di papà adottivo che, benché avesse accolto sua figlia quando lei aveva già 5 anni, dopo pochi giorni “sembrava che fosse con me da sempre”.

Tommy Di Bari, barlettano classe 1974, è un creativo per eccellenza. Ex pubblicitario, scrittore e autore televisivo di programmi di successo – da Striscia la Notizia a Paperissima– ha deciso insieme a sua moglie di dare un tocco di “originalità” anche alla loro vita. Compiendo un atto che oggi va sempre meno “di moda”: dare una famiglia vera a una bambina a cui la vita ha tolto l’amore che le spettava da parte del suo papà e della sua mamma. Lei si chiama Maria Nunzia, oggi ha 8 anni ed è una bambina serena e curiosa. Ma viene da un passato davvero difficile, fatto di maltrattamenti da parte della sua famiglia di origine, tanto da essere allontanata e data in adozione. Ad accoglierla sono stati proprio Tommy e sua moglie. Un’accoglienza avvenuta prima di tutto a livello spirituale: “Mi sono innamorato di lei ancora prima di conoscerla”, dice il papà di Maria Nunzia. La storia della loro adozione è raccontata nell’ultimo ultimo libro di Tommy, Sarò vostra figlia se non mi fate mangiare le zucchine. Storia di un’adozione, uscito ad aprile 2015 per Cairo editore.

Un romanzo autobiografico che Tommy Di Bari ha presentato a Gabicce Mare, giovedì 27 agosto, nel corso della XXIV Settimana di formazione e studi delle associazioni Amici dei Bambini e “La Pietra Scartata”. Al termine della presentazione – curata dal coordinatore regionale di Ai.Bi. Puglia Antonio Gorgoglione, concittadino dell’autore – abbiamo incontrato Tommy per scambiare qualche opinione con lui sul tema dell’accoglienza.

 

Nel corso della presentazione hai detto che hai fatto fatica a “non odiare” la donna che ha messo al mondo tua figlia. Noi di Ai.Bi. riteniamo, certo un po’ provocatoriamente, che l’abbandono in realtà sia una forma estrema di dono, perché permette a un bambino, che non potrebbe avere l’amore dei suoi genitori, di trovare un’altra famiglia. E’ un concetto troppo estremo?

 

Dipende da caso a caso. Mia figlia veniva da un passato di maltrattamenti da parte della sua famiglia di origine. I casi di abbandono invece sono certamente situazioni in cui va compresa la condizione di disperazione di una madre che, consapevole di non poter prendersi cura di suo figlio, compie questo gesto estremo donandolo a chi potrà amarlo al suo posto. L’abbandono comunque salva: farlo per esempio usufruendo delle culle termiche permette anche di poter contare sulla tutela dell’anonimato. Per questo non capisco proprio chi invece ricorre all’aborto o all’abbandono di un neonato in un cassonetto.

 

L’adozione è in forte crisi, per un complesso di cause. Tu che hai vissuto l’esperienza dell’adozione che cosa ti senti di dire a tante famiglie che vorrebbero adottare ma sono scoraggiate a farlo?

 

Che non è giusto non provarci neanche, solo perché si è sentito dire che adottare è troppo difficile. La “sporcizia” del sentito dire rischia di uccidere il mondo. Le difficoltà vanno vissute. La paura non ci deve bloccare, ma deve essere vista come un modo per scoprire una parte di noi stessi. Dobbiamo imparare ad affrontare il coraggio della paura. Mi ha sempre colpito una frase di Paolo Coelho: “La barca ormeggiata in porto è bellissima per essere fotografata. Ma il destino della barca è quello di navigare”. E poi bisognerebbe potenziare la formazione delle coppie. Se si offrisse una buona formazione, la gente capirebbe che vale  la pena spendere una certa cifra, perché si imparerebbe davvero a fare i genitori. L’adozione nazionale, per esempio, non costa niente, ma è carente in formazione: secondo me dovrebbe imparare da quella internazionale. E addirittura vorrei che in Italia si facesse una legge che istituisse la formazione anche per i genitori biologici. Dove sta scritto che per il fatto di essere genitori biologici si è già automaticamente in grado di saper crescere un figlio?

 

Tu vieni da una terra con una grande tradizione di accoglienza,  che, ora ma soprattutto in passato. è stata meta di enormi flussi migratori. Oggi qualcuno teme la possibilità che i figli dei migranti vengano accolti, in affido o in adozione, da famiglie italiane. Come far passare loro questa paura?

 

A queste persone consiglierei di chiudere gli occhi un attimo e di immedesimarsi nel bambino che arriva da solo in una terra straniera. Non c’è cosa peggiore per un minore che trovarsi senza genitori in un luogo che non conosce. Se non c’è accoglienza, per questi bambini il destino può tradursi solo in due cose: pedofilia o traffico di esseri umani. Bisognerebbe capire che l’accoglienza non ha confini, non ha nazionalità. Mi permetto un neologismo: l’accoglienza che non ha patria dovrebbe essere il suo contrario, “matria”.