“Tre anni per ottenere una relazione perché i servizi sono oberati dal lavoro”

Alessandra scrive:

Riassunto della nostra esperienza. Dichiarazione di Disponibilità presentata circa 3 anni fa. Primo colloquio di coppia con la psicologa dell’Equipe dopo circa un anno. Dopo 50 minuti di colloquio la Dott.sa ci segnala due criticità e ci invita a sospendere la procedura. Noi chiediamo di proseguire parchè non ci riconosciamo in quelle criticità anzi, chiediamo di approfondire con lei quei contenuti. Quei contenuti non vengono più affrontati per volere della psicologa e chiaramente compaiono come criticità nella relazione psicosociale prodotta dai servizi. Nelle due udienze i giudici onorari ci parlano di altre questioni. Noi chiediamo approfondimenti in merito a quelle criticità. Non ci vengono concessi. Il Decreto arriva a quasi un anno dall’ultima udienza. Negativo a motivo di quelle criticità. Facciamo ricorso. La psicologa e la psichiatra di parte finalmente approfondiscono queste presunte criticità e con loro scopriamo (in senso ironico) che quelle esperienze da me vissute e segnalate come criticità in realtà sono eventi che hanno contribuito fortemente a formare il mio valore umano e il nostro legame familiare: sono cioè esperienze che si sono trasformate in punti di forza. Il Tribunale di Appello nonostante tali perizie di parte non si fida e ci rimanda ad un ulteriore approfondimento psicologico con altra Equipe adozioni. Accettiamo questo percorso di 6 mesi. Però la nuova Equipe adozioni ci rifiuta come coppia e lo comunica al Tribunale di Appello.

Motivo? Troppo lavoro. Il Tribunale di Appello obbliga questa nuova Equipe a seguirci per affrontare con loro le nostre criticità. Ora vi chiedo: questi 3 anni trascorsi sono stati davvero un percorso di crescita oppure non sono altro che una presa in giro (per non usare termini più pesanti), frutto di un sistema che non è più capace di eseguire in modo moralmente corretto e rispettoso il lavoro che è chiamato a svolgere?

Cara Alessandra,

la sua storia ha veramente dell’assurdo: com’è possibile trattare così delle persone, delle coppie, che desiderano semplicemente adottare un bambino. Dov’è l’accompagnamento da parte dei servizi? Com’è possibile “ribellarsi” a queste situazioni di strapotere da parte degli psicologi? Perché dei coniugi che desiderano adottare devono essere trattati e considerati alla stregua di delinquenti e non come risorse che si mettono a disposizione di un bambino abbandonato? Accompagnare una coppia non significa perseguitarla, giudicarla e ritenere che non sia idonea ad adottare senza motivazioni o con motivazioni spesso assurde. Cara Alessandra, complimenti perché ha continuato fermamente nel suo cammino ed è riuscita a raggiungere l’obiettivo che si era prefissata anche se ci sono voluti 3 anni.

Irene Bertuzzi, area Formazione e Accompagnamento di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini