Utero in affitto e adozione: “Mio marito non voleva un estraneo”

Riflessione sui fatti dell’hotel “Venezia” a Kiev e sul valore dell’accoglienza. Quella vera

Da giorni stiamo seguendo le notizie che ci arrivano da Kiev, da quell’hotel “Venezia”, circondato da filo spinato per evitare che qualcuno possa avvicinarsi (così dicono!) nella cui hall sono ospitati in altrettante culle più di 50 neonati “ordinati” alla compagnia Biotexcom, specializzata nelle pratiche dell’utero in affitto, e bloccati nel Paese a causa del lockdown.

Non voglio qui aggiungere ulteriori considerazioni alle molte già espresse in questi giorni sulla inciviltà di tale pratica o emettere un qualsiasi giudizio sulle coppie che a essa si rivolgono per “ottenere” un bambino: vorrei solo esprimere una semplice riflessione, come potrebbe farlo uno dei tanti genitori adottivi che hanno avuto occasione di leggere l’intervista rilasciata a Repubblica il 15 maggio scorso da una donna di 55 anni che, unitamente a suo marito, aveva “ordinato” uno di questi neonati di Kiev.

Mi ha profondamente colpito una frase di quella intervista: alla domanda di Maria Novella De Luca (giornalista ben esperta di tematiche di accoglienza) “Allora perché non pensare alla adozione?”, la donna risponde che “mio marito voleva un figlio con il suo DNA, non un estraneo”.

Utero in affitto e adozione: quella notte di 34 anni fa…

Un estraneo. Ecco, io non so quando scatti quella molla o che cosa spinga un uomo e una donna ad adottare un bambino. Non lo so, neppure dopo aver adottato tre figli di tre diversi continenti. Non lo so, nonostante una delle mie figlie adottive abbia accolto, in adozione, altri due bambini abbandonati. Non lo so, nemmeno dopo aver accompagnato 4000 minori abbandonati provenienti da ogni paese del mondo, all’incontro con i loro genitori adottivi…

So solo che, 34 anni fa, in una notte di settembre, da ore e ore, stavo lì, appiccicato al vetro di una camera di rianimazione… dall’altra parte, in una incubatrice, un esserino, che 15 giorni prima nemmeno sapevo esistere, stravolto in tutto il corpo da un tremendo stato di denutrizione, lottava tra la vita e la morte. So solo che, respiro dopo respiro, senza un attimo di tregua, imploravo e ancora imploravo: “Padre, che sei nei cieli, prendi la mia vita ma non la sua!”.

Ho pregato, per tutta la notte, come ogni padre prega per il proprio figlio.

Marco Griffini

Presidente – Ai.Bi. – Amici dei Bambini