Venezia. Il papà malato terminale cerca una famiglia adottiva per il figlioletto di quattro anni

Alla Mostra del Cinema una storia vera in “Nowhere Special”. Un film sulla vita, sull’accoglienza. Sull’amore. L’opera di Uberto Pasolini ha commosso la critica

“Questo è film sulla vita”. A presentare così “Nowhere Special“, pellicola presentata nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia e che ha già commosso la critica, è il suo autore, il regista Uberto Pasolini. La storia, tratta da un reale fatto di cronaca, è di quelle terribili: la vicenda di un padre malato terminale e solo al che, sapendo di dover morire, cerca di trovare una famiglia adottiva per il suo bambino di quattro anni. “Una storia d’amore – prosegue Pasolini – tra un padre e un figlio, anche se all’interno di una situazione terribile alla quale il figlio non sa dare un significato. Leggere l’articolo che ha dato origine al film è stato un pretesto per riflettere su cosa vuol dire essere genitori, rispondere alle domande che fanno figli, educarli e prepararli al futuro. Ma anche sui silenzi, su come comunichiamo quando non ci parliamo. Ho provato a raccontare una storia universale. Ho parlato con molte persone che intendevano adottare dei bambini o prenderli in affido, ho letto autobiografie di persone che stavano per morire, guardato documentari. Poi ho dimenticato tutto e ho cominciato a scrivere”.

Venezia. La commovente storia di un papà malato terminale è vera

Il film invita, quindi, anche a fare delle inevitabili considerazioni su quali siano le qualità migliori per una famiglia desiderosa di accogliere dei figli in adozione. “Al di là del fatto di cronaca – spiega il regista a Il Mattino m’interessava ragionare su quanto sia complicato essere padre. Lo trovo un mestiere difficilissimo, devi avere le risposte giuste ma non sollecitarle, aiutare le scelte dei figli e a volte scegliere al posto loro, come nel caso del film. Per scriverlo ho fatto ricerche di ogni tipo, ho contattato varie famiglie disponibili all’adozione, ho rubato le loro vite per portarle sullo schermo. E ho letto molti libri di gente che elabora riflessioni sulla propria morte”.

Ma questa pellicola, ha aggiunto il regista interrogato da un altro quotidiano, Avvenire, è anche “un invito a non pensare di avere tutte le risposte. In una famiglia nessuno può avere delle certezze. Il padre del bambino si arrende all’idea che la certezza di aver fatto la scelta giusta non ce l’avrà mai. Quello che ha veramente fatto per il suo bambino è l’amore che gli ha dato negli ultimi quattro anni. E tu sai che quel bambino ce la farà”. E così “John, giovane lavavetri padre single che dedica la propria vita a crescere il figlioletto di quattro anni dopo che la moglie ha abbandonato entrambi (…) ha davanti a sé pochi mesi di vita che ha deciso di occupare cercando, con l’aiuto di un’assistente sociale, una famiglia che possa adottare il piccolo Michael dopo la sua morte. Un’impresa dolorosissima, che rende necessaria l’accettazione del proprio destino e il coraggio di condividere con il bambino la verità e la decisione più importante per la vita di entrambi”, scrive Avvenire. Ma, anche, una storia raccontata “con sguardo dolcissimo“, ma “lontano dai rischi di un sentimentalismo ricattatorio e stucchevole”.